Il caso

Bari, calcoli sbagliati: così il boss Diomede tornerà libero nel 2031 anziché nel 2050

Isabella Maselli

Il primo cumulo della procura generale prevedeva la detenzione fino al 2050, per il boss di Carrassi ben diciannove anni in meno di reclusione

Diciannove anni in meno di reclusione. Il boss di Carrassi Giuseppe Diomede, conosciuto come «Pinuccio Diò il cantante», non resterà in carcere fino al 2050 ma «solo» (forse) fino al 2031. La questione è tecnica e riguarda le condanne che Diomede ha accumulato nel corso dei decenni.

Il pluripregiudicato, oggi 57enne, è detenuto ininterrottamente in carcere dal 24 febbraio 2000 e negli anni ha accumulato sei condanne per estorsione, mafia, droga e omicidio, per complessivi 42 anni di reclusione che, tra continuazione, presofferto e i limiti previsti dal codice penale sul cumulo massimo delle pene, sono stati alla fine “ridotti” a 30 anni. Per Diomede, però, la Procura generale aveva calcolato che quei trent’anni da scontare iniziassero a decorrere dal 28 maggio 2020 (data dell’ultima condanna) e non dal 2000, da quando cioè ha messo piede in cella per essere stato tra i mandanti della «strage di San Valentino» del 14 febbraio di quell’anno (nell’agguato sul lungomare di San Girolamo vennero uccisi Nicola Cassano e Vito Marzulli e feriti Tommaso Montaruli, Francesco Abbrescia e Nicola Colangiuli del clan Strisciuglio).

A marzo, quindi, gli era stato notificato un ordine di esecuzione dopo l’ultima condanna definitiva nel processo «Pandora» che riportava come fine pena il 27 maggio 2050 (2047 tenuto conto di 1098 giorni di liberazione anticipata). Stando ai calcoli dei magistrati baresi, cioè, i 23 anni già trascorsi in carcere non andavano sottratti ai 30 complessivi da scontare.

Nell’arco di oltre un ventennio - era il ragionamento - il boss ha continuato a delinquere e, anzi, il processo Pandora ha cristallizzato il suo ruolo attivo di capo clan per un lunghissimo periodo, dal 2005 al maggio 2020. Sulla base di questa valutazione, la Procura generale non soltanto aveva ricalcolato i termini del fine pena (altri 24 anni da trascorrere in cella), ma aveva anche revocato il beneficio dell’indulto (3 anni) e chiesto la revoca di 720 giorni (quasi altri 2 anni) di liberazione anticipata - tre mesi per ogni anno di detenzione - di cui il pregiudicato aveva già beneficiato.

Un anno fa lo stesso principio era stato adottato per il boss Savino Parisi, il capo clan di Japigia, che sarebbe potuto uscire dal carcere a maggio 2023 e invece resterà in cella fino al 2026 perché gli è stata revocata la liberazione anticipata, circa tre anni e mezzo in più dietro le sbarre.

Un errore di calcolo, secondo la difesa di Diomede, l’avvocato Marianna Casadibari, che ha riportato la questione davanti ai giudici della Corte di Appello per un incidente di esecuzione. I giudici hanno condiviso la tesi della legale e ordinato alla Procura generale di rifare i conti.

E così qualche settimana fa è arrivo il nuovo cumulo: non più 2050 ma 1 ottobre 2031 (tenuto conto di 198 giorni di liberazione anticipata), quindi 19 anni prima. La difesa, però, ritiene che il calcolo anche questa volta non sia corretto. Un nuovo incidente di esecuzione, quindi, sarà celebrato dinanzi alla Corte di Appello il prossimo 18 gennaio.

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