L'intervista

Bari, don Angelo Cassano lancia l’allarme: «Si fa finta di non vedere la mafia»

Rita Schena

Il parroco in trincea ieri era presente alla cerimonia di scopertura dedicata a Sebastiano Gernone, ucciso nel 1930. «In città la malavita allunga i suoi tentacoli»

BARI - Lancia l'allarme su una sorta di cappa che avvolge la città e le nega la possibilità di rendersi libera dalla mafia, sulle prossime elezioni amministrative che rischiano di essere inquinate dalla malavita e sulle povertà alle quali la politica e le istituzioni non sanno dare risposta. Don Angelo Cassano referente regionale di Libera e parroco di San Sabino non smette mai di stare in trincea. Ieri era presente all’inaugurazione della targa in via Manzoni in ricordo di Sebastiano Gernone ucciso dalla mafia nel 1930.

Ma si ha ancora paura pubblicamente a parlare di mafia?

«Sì e ce ne rendiamo conto ogni giorno. A parte gli esempi e le battaglie di famiglie coraggiose di vittime innocenti uccise dalla mafia, fondamentalmente questa città fa fatica a parlare di mafia. E questo nonostante importanti inchieste che la magistratura sta portando avanti, o le indagini delle Forze di Polizia, il lavoro straordinario che sta facendo la Dia e la Procura. C'è una società civile, e purtroppo una parte delle Istituzioni, che è silenziosa per non dire connivente. Volge lo sguardo da un'altra parte, o si è rassegnata. Difficile capire dove è il limite».

Un atteggiamento perché la mafia è meno presente, perché spara meno per strada?

«Può essere una lettura, anche se la storia di sangue che ha sporcato le nostre strade è ancora tra noi. Guardiamo agli ultimi arresti fatti a Japigia che dimostrano che ancora nel 2017 la mafia uccideva con la guerra tra i clan».

Ma la tregua di sangue di oggi è un bene o un male?

«Un male. Anche se si è placata la potenza di fuoco, anche se oggi la mafia si sente meno, non si capisce che in questa fase è silente perché sta entrando nei meccanismi dell'economia. Così facendo è più pericolosa, si sta legalizzando, attraverso i punti scommesse, attraverso il turismo, il commercio. Sta entrando pervasivamente nel tessuto economico della città. Vedi il fenomeno della gentificazione di Bari vecchia, con il proliferare dei b&b. Non ci vuole una laurea per capire quello che sta succedendo, per capire che oggi le mafie stanno investendo in maniera molto più massiva e questo le rende più potenti e pericolose».

Come questi processi si intrecciano con i bisogni delle persone?

«Siamo in un momento di grave crisi economica e sociale e dove non ci sono risposte ai disagi sociali. In tanti non riescono ad andare avanti, c'è un problema abitativo, non si trovano case in affitto, c'è un problema legato all'impoverimento delle famiglie, al lavoro che non c'è. Oggi è povero anche chi lavora e lo ha messo in risalto anche l'ultima indagine della Caritas nazionale: alle nostre porte, alle mense non vengono solo quanti hanno perso il lavoro o sono in condizione di povertà, ma anche chi un lavoro ce l'ha ma non è sufficiente alla sopravvivenza. E questo terreno è molto fertile per la mafia, per l'usura. È qui che l'assenza di risposte istituzionali e politiche fa spazio alla mafia».

Di cosa soffre oggi Bari?

«Una delle emergenze più presenti è quella abitativa. Non è possibile che in questa città ci siano tanti sfratti. Di fronte a tutto questo qualcuno deve mettere un argine. Tanto più che a cascata questo incide sul piano educativo, sui giovani. E qui veniamo ad un altro problema: la dispersione scolastica: di questo passo dove vanno a finire i nostri ragazzi?»

La mafia allunga i tentacoli sull'economia, sulle persone, la politica guarda da un'altra parte e a breve ci saranno le elezioni. Una miscela esplosiva.

«Tra le amministrative, le regionali, mi chiedo: come si muoverà la mafia dentro questa dimensione? Abbiamo già precedenti sul voto di scambio. E segnali già li cogliamo e tanti. Il mio invito è alla politica: che prenda posizione netta rispetto a questo pericolo grave che incombe».

E la società civile?

«Deve fare la sua parte. Perché nessuno sforzo basterà mai se al fianco di singole persone non c’è l'intera comunità civile. Mi rendo conto invece che se qualcuno ti mette cento euro in mano e ti chiede il voto, non è percepito neanche come qualcosa di grave. Ecco è in questi comportamenti che si deve intensificare il nostro lavoro contro la cultura mafiosa, contro questa cultura del favore che si trasforma in normalità».

Cosa si deve rafforzare?

«Una grande sfida è quella educativa con le scuole che oggi sono veramente la trincea. Dopo il covid tra i ragazzi c'è stato quasi un tracollo: gli episodi di violenza anche autoinflitta sono aumentati vertiginosamente. Il disagio giovanile si tocca con mano. Stiamo avendo un tasso di suicidi minorili da paura. Noi adulti siamo chiamati a dare risposte. Dobbiamo provare a stendere una sorta di patto sociale ed educativo per difendere i giovani e rafforzare le comunità. Rinforzare i luoghi sociali. C'è una grande sete di relazioni, ma è come se poi si perdano. Le persone sono anestetizzate dai social e i giovani ne stanno pagando il prezzo più alto».

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