La sentenza
Bari, il Gip archivia accuse alla Gazzetta: «Gli articoli sulla corruzione di Seccia non erano diffamatori»
Il Gip di Bari archivia la seconda querela del magistrato foggiano, coinvolto nelle indagini per corruzione del «sistema Trani»
BARI - Gli articoli che hanno raccontato le indagini per corruzione avviate dalla Procura di Lecce contro l’ex pm antimafia Domenico Seccia (nella foto) non sono diffamatori, perché contenevano soltanto «una fedele cronistoria dei fatti così come effettivamente avvenuti». Lo ha scritto il gip di Bari, Susanna De Felice, accogliendo la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Bari a seguito di trasmissione del fascicolo dalla Procura di Lecce (che già, a sua volta, ne aveva chiesto l’archiviazione).
Seccia (cui ieri il Consiglio di Stato ha dato torto sulla decisione del Csm di non affidargli la Procura di Reggio Calabria) aveva presentato denuncia per diffamazione nei confronti del giornalista Massimiliano Scagliarini (difeso dall’avvocato Roberto Eustachio Sisto) e di una cronista di «Repubblica», ritenendosi diffamato dagli articoli in cui era stato raccontato il suo coinvolgimento nell’inchiesta sulle presunte sentenze truccate nel tribunale di Trani. È l’indagine nata dalle denunce dell’imprenditore Flavio D’Introno poi confermate dall’ex pm Antonio Savasta: Seccia sarebbe stato protagonista di una corruzione che - per l’accusa - sarebbe stata «certamente consumata».
Il gip De Felice, valorizzando le argomentazioni della difesa, ha demolito la tesi del querelante attraverso una lezione sul diritto di cronaca. «Non è condivisibile», ha scritto infatti il giudice, «il «ritenuto mancato rispetto del requisito della verità dei fatti rappresentati», perché «le notizie di cronaca giudiziaria riportate sui quotidiani sono sostanzialmente coincidenti con la realtà processuale (sottolineato nel provvedimento, ndr) dei fatti esposti».
La «Gazzetta» ha insomma dato correttamente conto dell’indagine e dei suoi contenuti, e non poteva né doveva fare altro. «Il Seccia - a prescindere dall’estrema gravità delle accuse e dall’eventuale concreta responsabilità penale in capo allo stesso Seccia, l’accertamento della quale non spettava di certo ai giornalisti né rileva in questa sede - è stato effettivamente iscritto nel registro degli indagati a seguito delle dichiarazioni rese a suo carico nell’ambito del procedimento, dichiarazioni che sono state oggettivamente rese nei termini indicati dai giornalisti e che sono state ritenute credibili in sede giudiziaria tanto da essere poste a fondamento di sentenze di condanna. Ciò a riprova del fatto che i giornalisti si sono limitati a dare atto del contenuto di verbali, effettuando le opportune verifiche in ordine alla fonte dichiarativa e alla corrispondenza con gli atti del procedimento, non essendo ovviamente tenuti alla valutazione della verità di quanto dichiarato dal Savasta e dal D’Introno». Un ragionamento che si estende al punto nodale delle accuse della Procura di Lecce. «Che il Seccia, vicepresidente di sezione della Comissione tributaria provinciale, quale presidente del collegio (sia pure senza essere il relatore) abbia effettivamente accolto alcuni ricorsi del D’Introno, è dato oggettivamente riscontrabile in atti (...) talché anche sotto tale profilo alcun rimprovero può essere mosso».
Il gip, a conferma della correttezza del giornalista, ha dato atto che nello scorso aprile la «Gazzetta» ha poi raccontando l’esito della vicenda. Ovvero che il pm di Lecce aveva chiesto l’archiviazione per prescrizione delle accuse di curruzione, «precisando altresì che il Seccia aveva presentato reclamo avverso il decreto di archiviazione al fine di rinunciare alla prescrizione e ottenere una formula assolutoria piena».
In luglio il gup Valeria Isabella Valenzi aveva già archiviato un’altra querela di Seccia, che per la stessa vicenda ha intentato anche due procedimenti civili nei confronti della «Gazzetta».