Il commento
Mignani, De Laurentiis e Polito: le contestazioni e le decisioni
«Esonero giusto o meno, Mignani non può essere ritenuto l’unico responsabile di questo avvio di campionato»
BARI - Nove giornate di campionato hanno prodotto la prima «vittima». Michele Mignani paga per tutti. Sette pareggi, una vittoria e una sconfitta accompagnano il tecnico ligure alla porta. Grazie, s’accomodi. Anzi no, prego s’accomodi: è più confacente all’attualità biancorossa. Funziona così, nel calcio. Un allenatore è stipendiato più o meno bene anche per fare da parafulmine a mancanze altrui o a limiti «strutturali» della squadra che allena. Come in questo caso. Quella di un tecnico è una vita costantemente in bilico, tratteggiata dalle vittorie e dalle sconfitte. O dai pareggi, oggettivamente troppi in questo tribolato avvio di stagione e in generale in questi tre anni di gestione Mignani.
Cosa verrebbe contestato al tecnico ligure? L’aver perso di mano lo spogliatoio certamente no. Una squadra che rema contro, non rincorre fra mille affanni il pareggio come a Reggio Emilia. L’atteggiamento sempre molto guardingo, il fatto di non saper incidere molto durante le partite? Storia vecchia, datata fin dall’annata di serie C. La sua prudenza nella valutazione della rosa a disposizione? A tal proposito, non possono passare inosservate le puntualizzazioni dettate dall’ex allenatore nel corso di questi due mesi di campionato...
Esonero giusto o meno, Mignani non può essere ritenuto l’unico responsabile di questo avvio di campionato. E ora che non c’è più, finiscono gli alibi. Per i calciatori, certo, che dovranno in una maniera o nell’altra rimboccarsi le maniche e produrre, calcio e risultati; ma anche per il direttore sportivo Ciro Polito, che di alibi oggettivamente non ne ha mai reclamati, ma che è il costruttore e l’ideatore di un Bari distrutto dal mercato estivo e rifondato su basi che restano ad oggi tutte da verificare. Ora diventa la figura più centrale in assoluto del progetto. Ad un mercato ricco (finora) di incognite si aggiunge la sterzata sul nuovo allenatore: se neanche questa mossa sortirà gli effetti sperati, inevitabilmente diventerà il principale imputato dell’ingiustificata assenza biancorossa dalle prime posizioni. Tra le altre cose, fu proprio il «diesse» campano nell’estate scorsa a proporre di allungare di un anno ancora (quindi scadenza 2025) il contratto a Mignani... L’esonero, evidentemente, significa che la squadra è buona e che il manico non lo era più.
Ma siccome nel calcio tutto è incatenato, tutto fa parte di un ingranaggio, non possono sfuggire le responsabilità della società dei De Laurentiis che probabilmente non hanno fornito il «materiale» adatto da investire sul mercato. Qualche riflessione il club deve farla. La chiarezza, innanzitutto. Perché la madre di tutte le domande resta la solita: quali intenzioni riserva la proprietà sul club pugliese? Bari e il Bari, il patrimonio di pubblico e di tifosi che tutta Italia ci invidia, non devono rappresentare la riserva di nessuno. Devono avere vita propria. Il Bari non può essere la «seconda scelta» di nessuno. Se la missione non è lottare con tutte le forze per la serie A, allora è doveroso passare la mano a chi possa perseguire l’obiettivo e assicurare un futuro stabile ed ambizioso all’ottava piazza d’Italia.
Al nuovo tecnico, Pasquale Marino come ieri ha anticipato il nostro sito, va l’augurio di un lavoro proficuo e di resurrezione. Nella speranza che sappia far rendere al meglio quello che è stato definito dal «ds» un Bari più forte dello scorso anno. Il tempo dirà.