Il Caso
Torture in carcere a Bari: in udienza emerge l'allarme sovraffollamento
Le rivelazioni della direttrice Pirè in aula: «Il personale sottodimensionato» ma «nulla può giustificare la violenza»
BARI - Sovraffollamento e carenza di organico. Nulla può giustificare comportamenti violenti, pur al culmine della esasperazione, ma certo non si possono sottovalutare le criticità che da anni vengono denunciate nel carcere di Bari. E a confermarlo, raccontando numeri e situazioni di emergenza, è stata la stessa direttrice Valeria Pirè, dinanzi ai giudici che dovranno giudicare gli agenti penitenziari a processo per aver torturato un detenuto psichiatrico.
Sentita come testimone in una delle ultime udienze del processo, la direttrice Pirè ha raccontato ciò che avvenne la notte del pestaggio, il 27 aprile 2022, quando un detenuto 41enne fu violentemente picchiato - lo documentano le immagini interne della videosorveglianza - da alcuni degli agenti in servizio dopo che aveva appiccato le fiamme alla sua cella costringendo alla evacuazione della intera sezione, mentre i detenuti di tutte le sezioni, avvolte da una densa nube di fumo, battevano sulle sbarre delle celle.
L’udienza, rispondendo alle domande delle difese, è stata anche l’occasione per raccontare le estreme difficoltà nelle quali gli agenti lavorano. «Quel giorno c’erano 17 agenti in servizio per circa 420 detenuti» ha spiegato la direttrice, ricordando che la capienza massima è di 299 (in questi giorni sono circa 450). Con un numero di agenti ritenuto «sottodimensionato». «Sono cinque sezioni detentive, quattro più il centro clinico, e servirebbe almeno un poliziotto per piano» ha spiegato ancora.
Le parole della direttrice hanno dipinto un quadro allarmante. E tuttavia, come detto, la violenza che un gruppo di agenti quella notte avrebbe usato nei confronti di un detenuto psichiatrico non trova giustificazione, come evidenziato dalla comandante della Polizia penitenziaria barese, Francesca De Musso, pure lei citata come testimone nel processo. De Musso, come la direttrice, ha appreso solo giorni dopo quello che era accaduto, visionando le immagini delle telecamere dopo il racconto della stessa vittima, e hanno immediatamente trasmesso tutto alla Procura.
Secondo la comandante, la notte dell’aggressione «sicuramente c’era un obbligo di ciascuno, di intervenire, quanto meno, per fare ragionare chi magari sopraffatto dall’emotività del momento, io penso che sicuramente, in quel momento, l’emotività alterata, per quello che era successo prima, abbia giocato un ruolo importante, perché i miei uomini, io non penso che, non ho mai pensato di avere degli uomini violenti nel mio reparto - ha detto - , non ho mai pensato di avere nel nostro reparto persone che non comprendevano il valore alto del custodire, nel senso più bello del termine, quello etimologico del termine, di custodire, le persone che lo Stato ci affida, per riabilitarle, e restituirle alla società, migliorate».
«Ritengo - ha detto ancora la comandante De Musso - che noi, come polizia penitenziaria, abbiamo una posizione di garanzia, rispetto alla tutela della vita delle persone che lo Stato ci affida, questa è la mia personale interpretazione di quello che è il senso alto del mandato istituzionale che lo Stato ci affida, ed è quello che, normalmente, gli uomini del nostro reparto fanno. Per questo, sono particolarmente anche offesa da quello che è successo».
Buona parte delle testimonianze della direttrice e della comandante sono state dedicate anche alla descrizione della situazione sanitaria del detenuto aggredito. Il 41enne era arrivato a Bari dal carcere di Lecce il 13 aprile. «Era un detenuto molto problematico, molto molto problematico» ha detto la direttrice Pirè, spiegando che «era già stato in carcere da noi in precedenza, nel 2020, ed è una persona, non certo l’unico del carcere di Bari, molto reattiva e di gestione problematica. Era in carico al dipartimento di salute mentale sin dal suo ingresso con patologie psichiatriche accertate».
Dopo alcuni giorni di cosiddetta «sorveglianza a vista», cioè con un agente che sorveglia la cella h24, il 16 aprile la misura era stata revocata. Si tratta di «una misura molto afflittiva, estrema, quindi deve essere circoscritta nel tempo, perché - ha spiegato Pirè - se una persona deve essere tenuta sotto sorveglianza a vista, in pianta stabile, io sono da sempre del parere che a questo punto è incompatibile con il regime carcerario».
In effetti questo detenuto era in attesa che si liberasse un posto in una Crap, una comunità riabilitativa («abbiamo una ventina di detenuti in attesa di Crap» ha rivelato la direttrice, parlando di «emergenza nazionale»). La direttrice ha spiegato, peraltro, che nel carcere di Bari «abbiamo un centinaio di detenuti con problematiche psicologiche, psichiatriche, di cui 25-30 con inquadramento diagnostico ufficiale, schizofrenia, e quindi con protocolli chiari, definiti e precisi, e gli altri invece hanno tutte le altre tipologie di patologie, borderline, disturbi di personalità, disturbi del comportamento, che a volte possono essere anche più problematiche dello psichiatrico».