Sanità

Bari, 87enne al pronto soccorso per 3 giorni su una poltrona, il figlio: «Noi senza notizie»

Rita Schena

L’appassionata lettera-sfogo di un lettore con il padre ricoverato al Policlinico: «è rimasto solo con indosso la stessa biancheria, seduto su una poltrona, senza la possibilità di un letto»

BARI - «Papà è stato sistemato in un letto dopo tre giorni passati su una specie di poltrona al Pronto soccorso del Policlinico. Ha 87 anni e per tre giorni è rimasto da solo, con la stessa biancheria che aveva indosso quando lo abbiamo accompagnato in ospedale. Solo venerdì pomeriggio finalmente abbiamo trovato un infermiere che si è rivelato un angelo e che ci ha suggerito di tornare in serata per cambiarlo. Ci siamo riusciti con le mie sorelle. Lo avevano finalmente sistemato in un letto in una sorta di grande sala con tendine separatrici, dove ci sono tutti i codici rossi».

Il signor G.M. Ha la voce provata di un figlio addolorato. «Che sia chiaro, io non voglio puntare il dito contro nessuno, sono sicuro che medici, infermieri, OOSS, siano professionisti al top, ma mio padre è una persona anziana che non sappiamo se potrà mangiare un prossimo panettone. Noi figli lo abbiamo portato all'ospedale per farlo stare meglio, non per abbandonarlo. Solo che un anziano solo per giorni, in un ambiente non suo, vi immaginate lo smarrimento? E la nostra confusione di figli anche, senza che nessuno ci dica nulla per altrettanti giorni. Sinceramente trovo difficile da comprendere come è possibile che un grande ospedale come il Policlinico non abbia un numero di posti letto confacenti alle necessità del bacino di utenza che serve e non ci sia un centro informazioni per spiegare ai parenti la situazione».

L'odissea del signor G.M. e delle sue sorelle inizia dalla scorsa settimana. «Papà è un anziano con una seria insufficienza respiratoria dovuta per buona parte al suo essere stato un fumatore – racconta in una lunga lettera sfogo -. Una situazione che si è aggravata con l'età. Dopo superficiali ed inconcludenti interventi del medico di base, dopo il vederlo sempre più non in grado di respirare più o meno regolarmente, dopo avere accertato la sua incapacità a stare in piedi o sdraiato, non sapendo che altro fare, si è pensato di ricorrere al Pronto Soccorso».

E già qui si solleva la prima questione: possibile che il medico di famiglia non sia in grado di gestire un anziano, magari consigliando alla famiglia un percorso di assistenza e cura domiciliare? Evidentemente no.

L'anziano viene portato al Policlinico, sottoposto a triage e sistemato su questa sorta di poltrona, dove secondo il racconto dei familiari è rimasto tre giorni. «Dopo ore dall'accettazione una dottoressa è uscita dal reparto ed ha dichiarato, senza mezzi termini, che papà è affetto da un tumore polmonare. Al di là della crudezza della dichiarazione, sparata a bruciapelo e dal restare basiti, visto che nessuno di noi ne sapeva nulla, poi non si è stati in grado di avere notizie più dettagliate. Inutili sono state le richieste di un ulteriore colloquio con i medici. La risposta dei vari infermieri, che si avvicendavano alla reception, era sempre la stessa: “un po' di pazienza, appena possibile, vi faremo sapere”. Emotivamente è una esperienza molto forte. Mentre il tuo caro è chiuso senza poterlo vedere ed assistere, ti chiedi: come sta? Ha mangiato? È andato in bagno? Solo dopo due giorni mia madre, una compagna che è stata al fianco di papà per 70 anni, è riuscito a vederlo da lontano. E per noi figli lo strazio è di un anziano solo, smarrito, senza nessuno che gli tenga la mano, o lo conforti».

Il signor G.M. e la famiglia non sono persone che alzano la voce, o pretendono, sono cittadini rispettosi che si rendono conto che un Pronto soccorso è un reparto di trincea. «Il dolore è per l'assenza totale di comunicazioni, di nessuno che ti dica cosa fare».

«Ora papà è in un letto finalmente. Gli stanno drenando il liquido che aveva nei polmoni e che gli rendeva difficile la respirazione. Siamo riusciti a farlo cambiare e sappiamo che è crollato ed ha dormito tutta la notte. Ma il mio dolore di figlio e cittadino resta. Non sono dispiaciuto solo per mio padre. Sono dispiaciuto per noi tutti. Sono dispiaciuto per un Paese che si vanta di essere quello che non è. Un Paese che non comprende che l'assistenza sanitaria deve essere messa al primo posto e che deve dare risposte umane. Dovrebbe essere una priorità civile, un qualcosa di cui fruire con semplicità. Auguro a mio padre di poter vivere quello che ha da vivere con dignità e la stessa cosa auguro a tutti i malati. Per me spero di morire con un infarto. E prego Dio di non farmi morire solo in un ospedale, dove sicuramente le cure mediche saranno le migliori, ma come umanità e comunicazione siamo ancora all'anno zero».

Privacy Policy Cookie Policy