IL CASO

Parco della Giustizia, progetto ok: «Inammissibile ricorso ambientalisti»

Isabella Maselli

Il Tar boccia le ragioni del Comitato: contestata una variante al Prg non ancora adottata

I giudici frenano gli ambientalisti: il progetto del Parco della Giustizia può andare avanti. Non è possibile - è in estrema sintesi il ragionamento del Tar - pronunciarsi su eventuali lesioni che potrebbero essere causate da una variante al piano regolatore non ancora adottata. I giudici hanno dichiarato quindi inammissibile il ricorso del Comitato «Per un parco verde di quartiere alle ex Casermette: Capozzi e Milano» e di alcune associazioni ambientaliste, tra cui Fare Verde Onlus e Legambiente Puglia, contro Agenzia del Demanio e Comune.

La disputa

Oggetto del contendere era il bando di gara per la progettazione del nuovo Parco della Giustizia, che sorgerà nell’area delle ex caserme dismesse nel quartiere Carrassi, individuata con sede dei futuri uffici giudiziari già nel 2014, prima ancora che l’emergenza dovuta allo sgombero per rischio crollo del vecchio palagiustizia penale di via Nazariantz, nell’estate 2018, rendesse urgente una soluzione (poi individuata, provvisoriamente, nelle ex Torri Telecom a Poggiofranco).

Le motivazioni

La presunta «lesione dedotta - spiega il Tar - è riconducibile alla variante particolare al Prg, presupposto necessario per la diversa destinazione dell’area che, tuttavia, allo stato non risulta neppure adottata». «È, perciò, evidente - secondo i giudici - che l’interesse in questione si palesa come futuro ed eventuale, come tale, non idoneo a sostanziare la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse a ricorrere». Lo stesso codice di procedura amministrativa stabilisce che «in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati».

«Quanto in esame - si legge nella sentenza relativa al Parco della Giustizia - rientra proprio nell’ipotesi contemplata, atteso che i poteri inerenti all’adozione ed approvazione della variante di piano per l’area di che trattasi non sono stati ancora esercitati». Anche se si considerasse la presunta lesione ai residenti del quartiere dovuta alla «mera decisione di localizzare il Polo della Giustizia nell’area in questione, il ricorso non sarebbe comunque ammissibile ed anzi dovrebbe dichiararsi tardivo». A questo proposito i giudici ricordano che «la decisione di localizzare il Parco della Giustizia presso l’area occupata dalle caserme dismesse Capozzi e Milano nella zona Carrassi è stata assunta con una lunga serie di provvedimenti, adottati ben prima del bando di concorso impugnato, da tempo conosciuti dai medesimi ricorrenti, e di cui il bando costituisce mera attuazione». Molti di tali atti, evidenzia il Tar, «sono stati impugnati solo con il ricorso in esame, evidentemente in modo tardivo».  E, del resto, «sono gli stessi ricorrenti - concludono i giudici nella sentenza - nel lamentare i danni che deriverebbero dalla realizzazione del Polo della Giustizia nell’area attualmente occupata dalle dismesse caserme Capozzi e Milano (in termini di erosione di verde pubblico, di traffico indotto dalla prevista destinazione dell’area in questione e di problemi logistici determinati dall’esecuzione delle opere, anche viarie, necessarie e a far valere in sostanza l’interesse ad una buona qualità dell’aria, alla fruibilità del verde pubblico ed alla tranquillità di quartiere) a non contestare specificamente gli atti della gara, di cui hanno impugnato il bando».

La replica

Non si è fatta attendere la reazione degli ambientalisti, rappresentati dall’avvocato Fabrizio Lofoco. «È una sentenza in rito, non di merito - spiega il legale - . Abbiamo dimostrato che la variante è impossibile, perché sul verde di quartiere non si costruisce e non si potrà costruire, tanto è vero che nessuno fino ad ora ha potuto dirci in che modo il Comune di Bari o il Commissario straordinario vorrebbero farla. Quindi spendere soldi pubblici per progettare qualcosa di irrealizzabile è inutile e dispendioso. Quanto alla inammissibilità per tardività, essa non sussiste, a meno che non si provi che tutti i ricorrenti, uno per uno, fossero a conoscenza di atti pregressi. Il resto lo dirà il Consiglio di Stato. È una sentenza che impugneremo certamente».

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