«Intendo ridare giustizia e dignità alla memoria di mio padre, vederlo sul letto di morte con le lacrime agli occhi è stato straziante».
Antonio Gaggiotti commenta così l’arresto di Giuseppe Rizzi, l’oncologo barese arrestato venerdì scorso dai carabinieri per aver intascato più di 127mila euro da un malato terminale che aveva invece diritto all’esenzione totale. Suo padre Ottavio, ex funzionario di banca ormai in pensione, si è spento a 67 anni per un male incurabile, dopo aver dilapidato tutto il suo patrimonio per assecondare le richieste del medico che aveva promesso di salvargli la vita.
Signor Antonio, quando ha maturato l’idea di denunciare il dottor Rizzi?
«Un paio di mesi dopo la morte di mio padre, che è venuto a mancare nel febbraio 2020. L’ho fatto anche per far sì che ad altre persone non possa capitare quello che è successo a noi. Non sapevo bene cosa fare, ho pensato anche di fornire tutte le prove che avevo direttamente alla stampa, poi mi sono consultato con persone vicine e mi hanno consigliato di percorrere le vie legali. Attendiamo che le indagini si concludano, mi auguro che le cose vengano fatte nel migliore dei modi e che sia fatta giustizia».
Ritiene che negli ultimi mesi di vita suo padre abbia realizzato ciò che era accaduto?
«Mio padre era una persona molto intelligente. Faceva il funzionario in banca, era andato in pensione da poco. Forse alla fine si era avveduto, ma è solo una mia impressione. Era diventato molto silenzioso, distaccato da tutti, aveva sempre gli occhi lucidi. Purtroppo prima di incontrare Rizzi altre due strutture gli avevano rappresentato la gravità della sua situazione, che era questione di mesi. Ma nel momento in cui un medico ti dice “Ne usciremo vincenti” sia il malato che i familiari si aggrappano con tutte le loro forze a queste parole. Eravamo speranzosi, anche se il rapporto con lui era strano. Fin da subito aveva detto di non raccontare niente a nessuno, altrimenti avrebbe bloccato tutto. Mio padre era soggiogato».
Agli atti delle indagini ci sono delle videoriprese che lei ha prodotto. Da quando lei ha notato qualcosa di strano?
«Ho iniziato a registrare già dalla seconda o terza seduta, non ricordo bene. La prima volta che l’abbiamo visto Rizzi si è limitato a guardare la documentazione, per poi chiedere subito 500 euro. Questo mi ha lasciato perplesso. Poi ci ha invitato a tornare, chiedendo 1250 euro per un’iniezione: chiunque al mio posto avrebbe cercato di tutelarsi e capire cosa stava accadendo».
Vista la situazione, non ha cercato di mettere in guardia suo padre?
«Sulla base dell’esperienza avuta con papà, posso dire che quando si crea un rapporto di sottomissione totale nessuna persona che si trova in quelle condizioni riesce ad opporsi. In famiglia eravamo tutti consapevoli, abbiamo chiesto anche aiuti ai parenti. Mio padre era arrivato al punto da chiedermi i soldi anche per le sue strette necessità. Abbiamo vissuto un dramma nel dramma».
Ancora oggi state facendo i conti con le difficoltà economiche?
«Certo, mia madre sta onorando i prestiti contratti con le banche e con i parenti. Lei è molto provata dalla situazione: non solo ha dovuto affrontare la scomparsa del marito, ma anche far fronte alla catastrofe economica in cui si è trovata».
Vi siete più sentiti con l’amico di suo padre che vi consigliò di rivolgervi a Rizzi?
«Sì, ci è rimasto malissimo quando ha saputo cosa era accaduto. Si è scusato, ma soprattutto si è sentito in colpa. Non avrebbe mai immaginato una situazione simile».
Cosa si aspetta da questa inchiesta?
«Mi aspetto di avere giustizia. Mio padre era un uomo buono e onesto, che non esitava ad aiutare gli altri. Non è bello vedere morire una persona tormentata, non serena. Spero che quando tutto questo sarà finito la mia famiglia riacquisti un po’ di pace. Voglio che chi ha sbagliato, chiunque esso sia, sia chiamato a rispondere per ciò che ha fatto».