CRIMINALITÀ

Bari, denunciano il racket ma chiudono la pizzeria

luca natile

Nicola, Raffaele e Stanislao (padre e figli) non si sono arresi ma hanno legittimamente scelto di ricominciare altrove una storia migliore. Un anno dopo l’inizio del calvario, hanno affisso sulle bacheca Facebook la loro dichiarazione di indipendenza dalla mafia barese

Dire no al racket si può. Rifiutare di piegarsi al ricatto è possibile. Lo hanno fatto, in un quartiere dove la malavita organizzata cerca di sostituirsi allo Stato, Nicola, Raffaele e Stanislao, padre e figli, quando hanno scelto la strada della legalità e sono diventati testimoni di giustizia, prima di abbassare per sempre la saracinesca della loro rinomata «Pizzeria da Nicola» (che è poi ripartita con una nuova gestione), in quella specie di terra di mezzo chiamato Zona Cecilia, enclave barese, sotto l’egida della malavita del San Paolo, in terra modugnese. Tre uomini, tre nuclei familiari che non si sono arresi ma che hanno legittimamente scelto di ricominciare altrove una storia migliore, grazie anche agli aiuti concessi dallo Stato a coloro che scelgono di ribellarsi al ricatto della malavita. Sono andati avanti senza ripensamenti, senza rimangiarsi nulla, senza fare passi indietro, senza cedere alla paura. Ieri, quasi un anno dopo l’inizio del loro Calvario, hanno affisso sulle bacheca virtuale di Facebook, rete sociale per eccellenza, la loro personale dichiarazione di indipendenza dalla camorra barese, una lettera aperta a chi in tanti anni di onorata carriera li ha conosciuti ed ha frequentato la loro pizzeria per dire qualche cosa come: noi ci siamo riusciti a liberarci dal giogo del ricatto, dalla schiavitù della paura, ora tocca a voi. Sono finiti nel mirino di quattro sedicenti picciotti del clan Strisciuglio che con quell’aria strafottente di chi vuol fare credere di saperla lunga gli hanno fatto sapere che «qui ci siamo noi, Zona Cecilia è nostra e che se volete stare tranquilli dovete aiutare gli amici». Il messaggio è arrivato forte e chiaro e lo hanno sentito in molti. Quando Nicola, Raffaele e Stanislao, insieme, prendendo il coraggio a due mani, si sono rifiutati di cedere al ricatto i sedicenti mafiosi sono tornati alla carica, ringhiando «Non avete capito nulla». E invece a non capire nulla sono stati loro. I carabinieri della Compagnia San Paolo, a fine settembre li hanno fermati e condotti in carcere, scoprendo che avevano cercato di mettere il cappio intorno al collo anche al gestore di un negozio di ricambi per auto. Sono finiti tutti sotto processo e condannati.

«La pizzeria non era solo una attività ma la nostra vita, una seconda casa dove trascorrevamo gran parte delle nostre giornate a volte forse troppo lunghe» raccontano nella loro lettera aperta, pubblicata su Facebook, Nicola, Raffaele e Stanislao. «Spiegare quello che è successo - aggiungono - non è affatto semplice e, come è tipico purtroppo del nostro quartiere, il silenzio e la chiusura improvvisa ha creato solo una nebbia fitta di storie fantasiose e chiacchiericci inutili. In questi mesi ne abbiamo sentite tante di storie, di versioni e soprattutto di persone che improvvisamente si tramutavano in professori di vita ,che sfornano giudizi sulle decisioni prese. La verità è che nessuno può comprendere i nostri stati d’animo. Subire un estorsione per gente che si guadagna da vivere con il proprio sudore è qualcosa di molto difficile da accettare. Noi non lo abbiamo fatto. Non ce l’abbiamo fatta! Non siamo riusciti ad arrenderci alla visione di un futuro basato sulla sottomissione, sulla paura quotidiana che un individuo possa varcare per l’ennesima volta le porte del tuo locale per poter “mangiare”, ma che di cibo non si parla assolutamente».

«Perché accettare tutto questo? per chi poi? - si interrogano genitore e figli - Per qualche individuo che un bel giorno si alza dal proprio letto e decide che deve approfittare del sudore e del sangue di un povero Cristo che a stento arriva a fine mese? E poi vedere quella stessa perstappare bottiglie di Don Pérignon alla faccia di tutti quelli che sputano sangue per il proprio lavoro. No! Non è affatto giusto! Siamo consapevoli che purtroppo ci sono commercianti o imprenditori che sono costretti ad accettare e convivere con questa realtà, perché si convincono non ci sia altra via di uscita. Noi vogliamo solo dire che c’è sempre un'altra via e soccombere non è una di quelle! Ribellarsi o ancora meglio unirsi in un'unica lotta, a volte potrebbe fare la differenza e magari un commerciante non sarà costretto a chiudere. Solo il tempo dimostrerà se la nostra è stata una scelta giusta per il nostro futuro , ma in ogni caso non smetteremo mai di essere noi stessi e infine magari speriamo che il nostro gesto possa aver fatto riflettere qualcuno, ed essere spronato a fare la cosa giusta. Un abbraccio da parte nostra, Stanislao e Raffaele e da parte di colui che ha fatto la storia della pizzeria e un po’ anche quella del CEP, nostro padre Nicola ,che ci è sempre stato accanto. Buon proseguimento a tutti» firmato Nicola, Raffaele e Stanislao.

Dopo la «Pizzeria da Nicola» e l’autoricambi i carabinieri hanno portato a galla altre tentate estorsioni: ad una impresa edilizia che stava ristrutturando la facciata di un condominio in via Beethoven, ad una pescheria, al titolare di uno studio che fa consulenze finanziarie, a «La boutique dei frutti di mare», nota come «Gagang» al quartiere Santo Spirito. Da settembre ad oggi i carabinieri della Compagnia San Paolo, al comando del maggiore Andrea Minella, hanno eseguito ben 13 arresti contestando il reato di estorsione e tentata estorsione. A 7 degli indagati è stata contestata anche la finalità mafiosa. Nessuna delle vittima ha patito conseguenze, nessuna è andata incontro a ritorsioni e tutte hanno potuto continuare tranquillamente a lavorare. Denunciare si può e si deve. La pensa così il sindaco Decaro. «Sono molto orgoglioso della mia città e dei baresi. Il coraggio degli esercenti che hanno denunciato - ha dichiarato in occasione degli arresti eseguiti a Santo Spirito dopo l’estorsione alla pescheria Gagang - va sostenuto con l’abbraccio di tutta la comunità. Questi episodi sono la dimostrazione di come Bari ha scelto di non abbassare più la testa e di saper reagire per difendere i propri diritti, il rispetto delle regole e la cultura della legalità».

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