La recensione

Libertà verticale la nuova via del Mediterraneo

Leonardo Petrocelli

Il saggio di Onofrio Romano oggi da Laterza: una grande «regione» che tuteli i nostri talenti

BARI - Una grande regione euro-mediterranea in cui proteggere risorse e talenti, sottraendoli alla volontà predatoria del mercato. E, a sostegno di essa, una continua ricerca del «bene e del giusto», una costante interrogazione sul senso per non lasciare «gli uomini soli di fronte al nulla». Sono queste le autostrade lungo cui si sviluppa La libertà verticale (Meltemi, 2019), intuizione del sociologo Onofrio Romano nonché titolo del suo ultimo volume.

Il testo – è stato presentato stasera nei locali della Liberia Laterza di Bari (alle ore 18), alla presenza dell’autore a dialogo con Michele Laforgia, Pasquale Serra e Ugo Villani - non è semplice da riassumere. Qualsiasi sintesi non restituirebbe la complessità del ragionamento, rischiando di brutalizzarlo o banalizzarlo, perché la missione di cui Romano si incarica è quella di mettere a nudo forma e sostanza della modernità, svelando limiti e virtù dei diversi dispositivi sociali, per poi, nell'ultimo capitolo, provare a tracciare un orizzonte oltre le cronache. Proviamo a farla semplice: dall'Ottocento a oggi si sarebbero alternati due tipi di regime. Il primo, «orizzontalista», è integralmente centrato sulla liberazione del singolo dai vincoli oppressivi della comunità. Il secondo, «verticalista», si affida invece a una volontà che dispone dall'alto per legare e proteggere il singolo, inteso come parte di un tutto.

Incasellare i passaggi storici in questo schema non è poi così complesso. È evidentemente «orizzontalista» l'Ottocento liberale, è invece «verticalista» il Novecento, almeno dalla crisi del ‘29 fino agli Ottanta. Come puntualizza Romano, per cinquant'anni, seppur in forme diversissime, «il processo di regolazione sociale è stato affidato a una intenzionalità centrale», sia essa quella violenta dei totalitarismi o quella più gentile del welfare democratico. Poi, un nuovo rovesciamento: il liberal-liberismo scatena le sue forze nella globalizzazione trionfante e l'individuo è di nuovo solo con se stesso in questa contemporanea forma di orizzontalismo, la più aggressiva, entrata però già in crisi da almeno un decennio.

Messa a fuoco l’alternanza delle categorie, orientarsi è agevole. Il lettore si riconoscerà facilmente nello spaesamento dell’uomo di oggi, sospeso, per dirla con Gramsci, tra il vecchio mondo che muore e il nuovo che stenta a nascere. Certo, ci sono i sovranismi che spingono per riunire gli atomi con il collante della comunità e della tradizione. Ma Romano - pur non allergico a forme di temperate protezionismo - prova a immaginare una soluzione diversa, spendibile «a sinistra» (se tale espressione ha senso), ma non prima di aver portato fuori la spazzatura. Cioè, aver liberato il campo da quelle finte alternative che, nel frattempo, si sono messe di mezzo: l'ubriacatura dei diritti, la retorica dei beni comuni e della cittadinanza attiva, il convivialismo, la decrescita. Si potrà essere d'accordo o meno sui singoli punti, ma è un attraversamento critico su cui i progressisti, gonfi come otri delle proprie (spesso sciocche) certezze, farebbero bene a meditare.

Oltre la demolizione, c'è la proposta di Romano: l'idea di base è una macro-regione adriatica e mediterranea in cui popoli fratelli potrebbero trovare riparo dalle tempeste del mercato, non senza rinunciare a indagare un orizzonte di senso. Evitando cioè che l'individuo – protetto, tutelato e sostenuto in questa grande zona franca –, messo in soffitta il problema della sopravvivenza, si ritrovi totalmente smarrito di fronte alla libertà ritrovata. In fondo, la società del welfare è caduta per questo. E il neoliberismo, di rimando, ha liquidato il problema gettando di nuovo l'individuo nella fossa dei leoni, così che non avesse più tempo per meditare su di sé. Ma la questione delle questioni, ormai, non può più essere elusa.

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