L'intervista
Io, Donato Carrisi e il noir che non posso ambientare in Puglia
L’autore di Martina Franca nella ... casa delle voci
BARI - Un noir dalla forza narrativa travolgente. Donato Carrisi, scrittore di Martina Franca e autore di best seller (Il suggeritore su tutti), regista premiato con il David di Donatello, dopo l’uscita nei cinema del suo ultimo film, L’uomo del labirinto con Toni Servillo e Dustin Hoffman, torna in libreria con una storia dal ritmo mozzafiato che costringe ogni lettore a fare i conti con la memoria più sulfurea: La casa delle voci (Longanesi, pp. 397, euro 22), scandaglia l’universo delle relazioni familiari nelle quali una donna cerca la verità su un fascicolo oscuro della sua infanzia.
Carrisi, «La casa delle voci» è un noir che punta i fari sullo scrigno dei ricordi di famiglia. C’è una scintilla che accende il fuoco di questa storia?
«Tutto parte da una cena con una mia amica e tanti commensali: tra i dialoghi è emerso il racconto di un episodio inspiegabile dell’infanzia di una invitata, ovvero la ricostruzione di un brandello di memoria dal quale risaltava che la notte in cui era morta sua nonna aveva avvertito la presenza di una persona sul suo letto. Anche a me è capitato qualcosa di simile da piccolo: quando scomparve un amico di famiglia, ricordo che il telefono di casa la stessa sera squillò, e una voce disse “ciao” prima di riattaccare. Ogni ospite di quella cena ci confessò un episodio del genere».
Sembra quasi un richiamo al ruolo primordiale dei bimbi, già presente nell’epica antica…
«Richiamo una sorta di cordone ombelicale che teneva in contatto i bambini con un ordine primordiale. I piccoli sono spesso “messaggeri” e la mia è una storia di fantasmi, bambini e malattia mentale».
Nella trama è centrale la figura dell’ «addormentatore di bambini».
«Pietro Gerber, psicologo, esplora la mente altrui, con l’ipnosi. Ed evoca il ruolo antico di chi addormentava i bimbi con le fiabe della buona notte».
Tutto ruota sul rapporto controverso tra gli estranei e i bambini. E’ la paura arcaica dell’ignoto?
«Certo. C’è tanto mistero in questo romanzo. E’ il mio primo scritto senza un omicidio, un mostro e senza una vittima. Volevo costruire la paura sul mistero, una paura molto più profonda. Tendo ad evocarla più che suscitarla».
Che tappa, nel percorso allo scrittore Carrisi, segna «La casa delle voci»?
«È il mio decimo romanzo, a dieci anni da “Il suggeritore”: avevo bisogno di qualcosa di differente, di un nuovo inizio. Questo libro è l’alba di un nuovo Carrisi scrittore, con una storia malinconica…».
Sentimento insolito da ritrovare nelle storie che amano i suoi lettori.
«Non amo indulgere nella malinconia ma è venuta spontanea. Questo romanzo parla di tutti noi e anche di me».
Il noir a volte è superato dalla imprevedibilità della cronaca nera che deborda dai media. Il caso Sacchi, a Roma, con l’ambigua fidanzata ucraina…
«Ormai, per fortuna, il noir si sta sganciando dalla cronaca. L’ultimo collegamento con la cronaca l’ho fatto con "La ragazza nella nebbia”. La cronaca nera sta diventando tanto assurda da risultare a volte inverosimile. Nello specifico dell’indagine romana, non so che responsabilità abbia la giovane ucraina, ma è diventata nell’immaginario “la fidanzata diabolica”. Che sia colpevole o innocente non interessa nessuno».
Succede quando una indagine finisce nel racconto frammentato e accelerato dei media.
«Ecco, conta più di tutto quello che si insinua: se nella stessa situazione ci fosse stato un uomo, saremmo stati tutti più indulgenti. La verità la sapremo forse in sede processuale…».
Come vive l’esperienza da regista dopo il David e «L’uomo del labirinto» con giganti come Hoffman e Servillo?
«L’emozione che ti dà il set non la ritrovo in nessun altro luogo al mondo. Il set è luogo dell’esplicazione della fantasia, uno spazio che poi diventa famiglia. Lo sapevo già… Mi ero allontanato dal mondo del cinema. Quello che volevo realizzare richiedeva una strada più tortuosa nel racconto del thriller, un genere cinematografico desueto in Italia. Ora sono tornato e conto di restarci… Il genere si è consolidato con i miei romanzi e adesso posso costruire i progetti in cui credo».
È tra gli scrittori italiani contemporanei più tradotti nel mondo, perfino in Estremo Oriente. La prospettiva di scrivere letteratura universale come ha cambiato i suoi orizzonti?
«Per me è uno scambio continuo. Quando scrivo penso ai lettori inglesi, francesi e vietnamiti. “La casa delle voci” è ambientata in una Firenze che appare come se la raccontassi ad un coreano. Era da tempo che volevo ambientare una mia storia nella città toscana».
Dopo il cinema e il nuovo romanzo…
«Sto preparando la serie per Sky tratta da “Il tribunale delle anime”. Tra un po’ parte il set…».
Ci sarà mai un romanzo di Carrisi ambientato in Puglia o nelle sue amate isole Cicladi?
«No, in Puglia e Grecia mai. Sono terre troppo solari. E i pugliesi troppo buoni… Per me la Puglia è casa e madre. Sarei timoroso e anche un po’ frenato. La mia pugliesità è un fattore sentitissimo e molto intimo».