Nacquero con danni neurologici

Bitonto, gemelli nacquero invalidi per errore medico: dopo 27 anni Regione paga 2mln di danni

Massimiliano Scagliarini

La madre fu ricoverata a Gravina per un rischio di aborto. Dopo il trasferimento venne disposto un esame mai eseguito

Ci sono voluti quasi 27 anni per chiudere una vicenda di malasanità che nel 2015 aveva portato alla più pesante sentenza di risarcimento nella storia della Regione. Un esame mai eseguito, un parto sbagliato, due gemelli nati nell’allora ospedale di Bitonto con gravissimi disturbi neurologici. Le responsabilità non sono mai state accertate. Fatto sta che quell’errore costa oggi alla collettività poco meno di due milioni di euro, oltre che la condanna a vita per una famiglia murgiana.

La giunta regionale ha autorizzato la firma di una transazione che, entro settembre, scriverà la parola fine sulla vicenda versando alla famiglia 1.050.000 euro, che sommati ai 900mila già ottenuti nel 2016 portano appunto il totale a circa due milioni. Possono sembrare un’enormità, ma non sono nulla se confrontati con le spese necessarie a garantire l’assistenza dei due gemelli, ora 27enni, nati rispettivamente con una tetraparesi spastica (la paralisi delle braccia e delle gambe) e con una displasia ectodermica (malformazioni della testa) con ritardo psicomotorio. E soprattutto se confrontati con la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto circa 2,6 milioni, che per effetto di interessi e rivalutazione erano diventati 4,5: la famiglia (con l’avvocato Domenico Rutigliano) aveva ottenuto il pignoramento di 6,8 milioni sui conti della Regione, ma la Corte d’appello ha sospeso l’esecuzione della sentenza per i quattro quinti. Da qui l’«acconto» di 900.000 euro (che per 600mila è stato coperto dall’assicurazione) e le trattative che hanno portato all’accordo.

A maggio 1992 l’allora giovanissima madre viene ricoverata d’urgenza all’ospedale di Gravina alla 32ª settimana di gravidanza con il rischio di aborto spontaneo. Due giorni dopo la donna viene trasferita nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Bitonto dove, dopo una notte di dolori, vengono alla luce i due gemelli: uno ha braccia e gambe paralizzate, l’altro gravi malformazioni del viso. La causa dei danni neurologici, dirà nel 2015 una sentenza del Tribunale, è l’asfissia intrapartum, un fenomeno rarissimo probabilmente dovuto - non ci sono certezze scientifiche - ad anomalie nella formazione della placenta.

Esiste un esame che si chiama Ctg (cardiotocografia fetale) per evidenziare i sintomi di asfissia: in quei casi si interviene con un taglio cesareo. Dalle carte risulta che al ricovero a Bitonto il medico di turno avesse prescritto la Ctg, ma i tracciati non sono mai stati rinvenuti e il giudice li ha ritenuti «non eseguiti», parlando di «una serie di grossolane omissioni» nel comportamento dei medici di Bitonto, mai identificati e tacciati di «negligenza» perché non si sarebbero accorti di una «probabile» e «preesistente» asfissia intrapartum a causa di proprie «gravi e rilevanti omissioni strumentali e cliniche».

Il medico legale incaricato dal Tribunale non ha potuto stabilire «se e in che misura» le leggerezze dei medici di Bitonto «possano aver contribuito ad aggravare le patologie neurologiche in atto» sui feti. Ma, d’altro canto, l’ospedale, non ha dato prova di aver eseguito il famoso esame e dunque è stato ritenuto responsabile. Alla famiglia, i medici avevano parlato di «fatalità». È stato l’avvocato Rutigliano, cui i genitori si sono rivolti molti anni dopo per un problema con il servizio scuolabus, a chiedere copia della cartella clinica e a sottoporla a un ginecologo: da lì la richiesta delle copie degli esami all’ospedale, la risposta negativa e la convinzione che fosse accaduto qualcosa di poco chiaro.

La sentenza di primo grado (giudice Laura Fazio) ha condannato la Regione e la gestione liquidatoria delle Usl, a risarcire i due gemelli con 1 e 1,4 milioni, più 77mila euro a ciascuno dei due genitori, in totale circa 2,6 milioni, appunto, oltre rivalutazione, spese e interessi. La Regione ha presentato appello, ritenendo la cifra eccessiva per via della duplicazione di alcune voci di danno, e così ha fatto pure la famiglia. Negli scorsi mesi c’è stata una trattativa che ha portato a trovare un accordo. E una transazione potrebbe chiudere anche l’altro caso simile, quello dello scambio di culle nell’ospedale di Canosa, dove una delle due famiglie coinvolte potrebbe a breve essere risarcita con un milione e mezzo di euro.

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