il caso
«Questo murale è un messaggio di lotta contro gli oppressori»
Il dipinto sulla parete che sta sollevando polemiche in città. Gli attivisti dei collettivi della «Rossani»: la bellezza della città sta nella gente che la vive
BARI - «Non è carta da parati, ma un messaggio di lotta contro gli oppressori». L’esplosione di colore sul muro dell’ex caserma Rossani, in via Giulio Petroni, non è insomma un’operazione innocua. Tommaso, da uno dei giovani che compongono il collettivo ex Rossani e che ha collaborato alla realizzazione del murale, precisa: «C’è dentro un messaggio diretto contro il capitalismo. È questo che ci interessa di più, oltre l’estetica».
Certo, l’apprezzamento e il lascia passare del sindaco Antonio Decaro hanno agitato le acque. «Il sindaco ha detto che il murale “regala decoro”, ma forse abbiamo idee un po’ diverse su ciò che vuol dire decoro. Il decoro urbano, di solito, prevede l’allontanamento di tutto ciò che è povero, che è brutto, diverso, per dare spazio al consumo e ai turisti. Proprio l’opposto di ciò che abbiamo voluto dire noi. Per noi, la bellezza della città, il suo decoro, sta nella gente che la vive».
Ecco perché la proposta lanciata dal sindaco per una gara di street artist da realizzare all’ex Fibronit, per il momento ha lasciato tutti un po’ freddini. «Valuteremo nel collettivo se rispondere o meno alla proposta». Ma come è nata l’idea del murale? «Avevamo quest’idea da tempo ma volevamo trovare l’artista giusto che potesse aiutarci. In occasione del Ca.Co. Fest, il festival dell’illustrazione indipendente che organizziamo da diversi anni all’ex Rossani, abbiamo conosciuto Elias Tano». Illustratore, designer, street artist spagnolo, Tano ha già realizzato analoghi interventi in tutto il mondo, con uno stile che mescola Keith Haring, Diego Rivera e il Picasso di Guernica. Il murale di via Petroni porta la sua firma.
«Lo conoscevamo e lui conosceva noi, ciò che era la Rossani e ciò che vorremmo che fosse. Oltre ad essere bravo, ha idee, messaggi. Non realizza carte da parati Ikea». Sono cominciati così i lavori, a cui hanno collaborato una ventina di giovani e meno giovani provenienti dai collettivi della Caserma. «E’ stata necessaria una settimana per preparare il muro, renderlo liscio, piatto e per sbiancarlo. Fino ad allora, non ci ha detto niente nessuno». Sono poi cominciati i lavori con i colori. «E allora qualcuno ha deciso di chiamare i vigili e i vigili sono venuti più volte. Ogni volta, ci allontanavamo, dicevamo che avremmo smesso e poi subito ricominciavamo. Così siamo andati avanti fino alla fine del progetto».
Contenti del risultato? «Sì. Racchiude una parte delle lotte che stanno portando avanti i collettivi dell’ex Rossani: contro lo sfruttamento del territorio, contro il patriarcato e per la politica di genere, con un messaggio importante di solidarietà per i migranti. In un momento in cui tutti fanno la lotta contro gli oppressi, noi ci schieriamo contro gli oppressori». Il murale diventa così copertina di ciò che avviene dentro l’ex caserma. «Un luogo fisico che vorremmo fosse ancora uno spazio di aggregazione, in cui le persone sono libere di esprimersi con la creatività e con la politica. Per tanti, troppi anni, l’ex caserma è stata oggetto di chiacchiere e speculazione. Vorremmo che, almeno in parte, continuasse ad essere uno spazio liberato». E nel resto della città? «Ci sono stati interventi di street art interessanti, con autori anche piuttosto importanti, per esempio ad Enziteto. È importante però precisare che la street art non è solo estetica, è anche e soprattutto denuncia. Alcuni quartieri, quelli più popolari, come il San Paolo, per esempio, avrebbero bisogno di estetica ma anche di denuncia».