Corea, l'Occidente non faccia l'indiano
Finora il presidente americano, Donald Trump, al profilarsi di gravi crisi internazionali ha fatto la voce grossa: e non ha potuto certo farne a meno, perché la politica internazionale oggi si svolge in buona parte attraverso i mezzi d’informazione, dove occorre gridare per farsi sentire. Ma nei fatti, egli si è mostrato molto più politico di quanto i suoi avversari volessero farlo apparire. Anche dinanzi alle ripetute provocazioni coreane, Trump ha protestato a parole, ma senza intraprendere la strada delle armi. Lui è un uomo politico atipico, repubblicano più per finalità elettorali che per militanza. D’altronde, chi ha buona memoria ricorda che negli Stati Uniti, alle guerre, arrivano più facilmente i democratici quando sono al potere. Però i rischi dell’attuale tensione con la Repubblica Popolare Democratica di Corea, sono elevati.
Un vantaggio di Kim Jong-un, leader supremo della Corea e comandante dell’Armata del popolo, è stato finora quello di muoversi in una situazione di impermeabilità del suo paese rispetto allo spionaggio. È la condizione alla quale tendono sempre i dittatori, ma storicamente pochi sono riusciti a raggiungerla realmente. Kim Jong-un sembra che ci sia riuscito davvero. Un altro punto di forza della sua dittatore è la collocazione geografica della Corea del Nord, circondata da paesi alleati del suo massimo nemico, gli Usa. Questo vuol dire che un attacco americano in risposta alle provocazioni di Kim Jong-un - fatto con armi simili a quella che la Corea del Nord minaccia - avrebbe delle devastanti ricadute sul territorio degli alleati di Washington sparsi per l’Asia. La prudenza che fino a questo momento Washington sta dimostrando, dev’essere infatti anche una conseguenza della situazione geografica della Corea di Pyongyang.
In passato, gli Stati Uniti per minacce vere o anche eventuali da parte di altri paesi, avevano avuto delle reazioni pronte e spesso di vaste dimensioni. Questa volta invece, a Washington prevale la prudenza, che viene infranta solo nei toni verbali, in risposta peraltro a toni altrettanto minacciosi dalla parte coreana. Questi appaiono in tutta evidenza i dati di fatto, descritti realisticamente e senza bisogno di inutili anatemi.
Se si cerca invece di analizzare l’effettivo potenziale bellico della Corea del Nord, ci si trova dinanzi soltanto a delle ipotesi, o alle dichiarazioni verbali del leader coreano. Altro non c’è, perché l’impermeabilità della Corea del Nord rispetto allo spionaggio occidentale, si è dimostrata nei fatti quasi impenetrabile. A parte le dichiarazioni occidentali di aver sempre tenuto d’occhio le mosse e il riarmo di Pyongyang, che cosa si sapeva realmente dei suoi passi nel micidiale settore dell’armamento nucleare?
Quando lo scontro verbale assume i toni che ha preso in questi giorni quello fra la Corea del Nord e gli Stati Uniti, la saggezza finora dimostrata da Washington non è il fattore che da solo possa bastare a rassicurare. Resta sempre la possibilità che la dichiarazione di una delle parti superi per l’altra i limiti della tollerabilità, che qualche mossa finisca fuori controllo: allora sarebbe davvero il disastro, con ripercussioni a catena. Il ricordo di altre guerre, qualche pensiero purtroppo lo fa venire: talvolta è bastato davvero poco per infilarsi in una guerra. Quindi serve anche che l’opinione pubblica – la quale nell’Occidente ha una forza - prema con la sua voce, sui governi, perché non rinuncino alla prudenza.