L'analisi

I ristoranti tornano pieni ma il personale è già scappato

Roberto Calpista

Alle 23, quando scatta il coprifuoco, portano il conto al tavolo come «paravento» contro eventuali controlli.

Alle 23, quando scatta il coprifuoco, portano il conto al tavolo come «paravento» contro eventuali controlli. È il momento in cui i lamenti dei clienti segnalano le difficoltà delle ripartenze per i locali pubblici, tra voglia di recuperare, anche economicamente, il terreno perduto e un servizio non sempre più all’altezza a causa della mancanza di personale.

I pochi che lavorano, che hanno per esempio lavorato nei ristoranti italiani lo scorso week end, si ammazzano. Un pizzaiolo a Bari ha sfornato da solo, sabato sera, quasi 300 pizze, perché chi avrebbe dovuto dargli una mano all’ultimo non si è presentato.

I dubbi? Benessere diffuso, scarsa voglia di fatica, oppure chi ha il reddito di cittadinanza non vuole più lavorare? Doveva essere la rivincita, non solo economica, dopo mesi di lockdown.

Non è stato così. Molti locali, quelli con i tavoli all’aperto, sono stati schiacciati da un coprifuoco del tutto inutile - visto cosa accadeva dalle 5 alle 23 nelle città e sulle spiagge - e da un servizio incapace di far fronte a questa fretta forzata. Una pessima pubblicità per la ripartenza anche perché unita ad aumenti generalizzati in un Paese che, sulla carta almeno, dovrebbe essere sempre più povero.

Una crisi annunciata dalle associazioni di categoria e che riguarda la difficoltà a reperire ragazzi per la stagione estiva e occasionali. Èvero quel che ha denunciato il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, da sempre convinto sostenitore del rifiuto «radicale di qualsiasi parassitismo nel Mezzogiorno».

Per lui, chi riceve già il sussidio dello Stato di oltre 700 euro ci pensa due volte prima di mettersi in moto e rinunciare all'assegno. O, meglio, il lavoro se lo trova in nero. Un allarme che arriva anche dal mondo Horeca, il settore che si occupa di ospitalità e ristorazione: il reddito scoraggia nella ricerca di un'occupazione, sebbene nato su diversi presupposti. Il paradosso è che con la crisi sembra essere diventato più complicato assumere, come confermano da Confesercenti e Confcommercio.
Colpa della pandemia, ma non solo.

Secondo l'Osservatorio Inps sul precariato, nel 2020 sono andati persi 493mila contratti a termine. A pesare è stato soprattutto il calo degli occupati nei settori del commercio, dell'alloggio e della ristorazione (-371.000), mentre le cessazioni dei rapporti stagionali e dei contratti intermittenti sono state oltre 200mila. Un disastro annunciato. Che potrebbe avere altre ricadute. Perché nel frattempo c'è chi ha deciso di ricollocarsi in altri settori.

Per l'associazione nazionale Lavoratori Stagionali, il primo sindacato che difende i diritti di questa categoria, le cose che non vanno però sarebbero diverse dalla sola narrazione della vita comoda: «Siamo di fronte a persone sfruttate al di là di ogni limite e senza alcuna rappresentanza».

Si parla anche di paghe da fame che talvolta partono «da un minimo di 500 euro» e di orari mai rispettati.
Con il reddito di cittadinanza che potrebbe quindi essere solo parte del problema. In effetti che quello dei salari sia una questione reale lo ammette anche l'Inps nel rapporto annuale spiegando come l'introduzione di una quota minima avvanteggerebbe proprio gli stagionali, oltre a generare un «effetto positivo in termini di gettito fiscale derivante dall'emersione del nero».

Ma è altrettanto vero che il reddito di cittadinanza, «pensato» bene e messo in pratica malissimo, in un Sud in cui nessuno è fesso, ha contribuito ad alimentare proprio il mondo degli invisibili «nutrendo» i caporali. Non c'è dunque solo il tema dei contratti collettivi, ma anche quello dei controlli che non ci sono, o evidentemente non sono sufficienti. E qui si apre un altro capitolo, in cui la politica dovrebbe battere un colpo.

La pausa dovuta al Covid ha allargato il buco nero che da sempre contraddistingue l’inserimento al lavoro delle giovani leve. Da qui appunto la «fuga» verso altri settori, logistica, trasporti ed edilizia, senza contare chi è ancora coperto dagli ammortizzatori sociali. Non è facile ripartire così. Insomma i fornelli si sono riaccesi; i tavoli hanno ricominciato ad accogliere. Ma il ritorno alla normalità manca di un protagonista in un ruolo chiave.

E chi si immaginava che la crisi che ha colpito il settore avrebbe prodotto, con le riaperture dei locali, file ai centri di impiego ha preso un abbaglio. All’orizzonte si intravedono poche luci e con il Coronavirus non ancora sconfitto, pesa anche l’incertezza di quanto potrà accadere nei prossimi mesi e, in particolar modo, a partire dall’autunno.

Non è rialzando la saracinesca che tutto torna come prima: non c’è più niente, ora bisogna ricominciare completamente daccapo.

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