Il commento
Sindaci costretti dal Covid a fare gli sceriffi
A Trani, al sindaco Amedeo Bottaro, dopo aver stoppato il consumo di bevande e gli annessi stazionamenti, dalle 18 alle 22, sono arrivati a bruciare il portone di casa
Che l’aria fosse cambiata si era capito da un pezzo. Almeno da un anno quando le performance da ranger del sindaco di Bari, Antonio Decaro, approdarono perfino sulle tv americane insieme alle gride rabbiose di altri primi cittadini.
«A casa, a casa». Era l’alba della pandemia, il tempo del «ce la faremo», degli inni nazionali dai balconi e di quella nuova forma di solipsismo lavorativo che avremmo presto imparato - sbagliando, oltretutto - a chiamare smart working. I commentatori americani guardavano sgomenti l’evolvere della caccia italica all’assembramento.
E rilevavano come i major statunitensi - l’equivalente dei nostri sindaci - potessero soltanto limitarsi, con grande tatto e senza profanare le sacre libertà individuali, a consigliare cautela.
Stesso virus, mondi diversi. E soprattutto modi diversi. Perché nella cara vecchia Italia il Covid non ha stravolto solo il volto delle persone, mascherandolo, e delle città, svuotandole e impoverendole, ma anche la funzione stessa del primo cittadino. Da mero amministratore a pattugliatore di strade fino a prima linea dell’emergenza. Ha ragione Mattarella quando sostiene che i sindaci sono il primo anello di congiunzione fra popolo e istituzioni. Vero. Ma in pratica cosa significa? Significa che hanno gli stessi problemi di quelli in alto ma con meno difese. Anzi, se la giocano a mani e petto nudo.
Se Draghi e compagnia chiudono l’Italia in lockdown al massimo crollano nei consensi. Poco male in un Paese dove il premier non deve necessariamente farsi eleggere e i partiti possono contare sulla memoria corta dei cittadini. Basta non farsi vedere troppo in giro e nessuno ti verrà a rompere le scatole. Più complicata è la faccenda per i sindaci che, spesso chiamati a metterci il carico, come accaduto ultimamente in tre Comuni pugliesi, non possono però nascondersi né scappare.
Così capita che il sindaco di Trani, Amedeo Bottaro, stoppi il consumo di bevande, e gli annessi stazionamenti, dalle 18 alle 22, con il risultato di vedersi bruciato il portone di casa. È il dramma della prima linea, la stessa per cui da sempre l’emergenza lavoro, per dirne una, non è un tema da congresso dei riformisti ma ha la faccia e la disperazione di gente che ti viene a trovare in Comune o ti aspetta sotto casa. Cambiano i tempi ma il refrain è sempre lo stesso. Semplicemente l’emergenza ora ha più nomi: indigenza, disoccupazione, delinquenza, certo, ma anche tamponi, vaccini, contagi. E soprattutto frustrazione. Il livello di sopportazione collettivo di chiusure e restrizioni ha ormai superato la soglia di guardia e per chi non può allentare ma solo stringere, prendere iniziative, senza compensarle, è un esporsi continuo al fuoco amico. Thomas Menino, sindaco italo-americano di Boston, ripeteva sempre: «Il vero privilegio di essere sindaco sta nella possibilità di essere il vicino di casa di tutti».
Molto suggestivo. Ma in un Paese con i nervi a pezzi può non essere precisamente la più grande delle fortune.