L'ANALISI

Se l’industria farmaceutica diventa strategica

Michele Partipilo

Oggi, e forse anche per i prossimi anni, i rischi per la democrazia non sono rappresentati dal terrorismo, dal sovranismo o da chissà quale movimento. I veri rischi sono nell’assenza di controlli sui colossi farmaceutici

L’esordio di Mario Draghi al Consiglio d’Europa ha spalancato le porte su un tema irrisolto: la carenza di vaccini contro il Covid. Il problema è noto: l’Unione europea ha firmato contratti per la fornitura di centinaia di milioni di dosi secondo una precisa tempistica. L’idea di centralizzare a Bruxelles gli acquisti è nata per evitare speculazioni sui prezzi e per far sì che la campagna vaccinale potesse svolgersi in maniera uniforme in tutti i Paesi dell’Unione. Così però non è stato. I colossi farmaceutici produttori di vaccini tagliano continuamente le forniture, facendo saltare i piani messi a punto dai vari Paesi. Tanto che alcuni hanno deciso di acquistare – in maniera autonoma e a proprie spese – dosi dei vaccini cinese o russo, facilmente reperibili sul mercato ma non autorizzati dall’Ema, l’ente di controllo europeo.

Gli effetti della scarsità di fiale sono disastrosi e fanno vacillare ogni previsione di ripresa. In più, la situazione sanitaria in diversi Paesi – Italia e Germania in testa – fa temere un nuovo lockdown. Più che comprensibili, dunque, le ferme parole di Draghi sulla necessità che i cosiddetti «big pharma» - colossi come Pfizer o Moderna – rispettino i contratti sottoscritti con l’Europa e che se questo non accade si proceda con le sanzioni.

Per altro non si è mai capito bene quali fossero le ragioni dei tagli alle forniture: prima si è parlato di difficoltà nella produzione, poi di problemi sindacali infine si è scoperto che alcuni Paesi, vedi Israele, nel giro di poche di settimane sono riusciti a procurarsi le milioni di dosi sufficienti per tutta la popolazione. A questo si aggiungano le proposte di misteriosi mediatori a capi di governo e anche ad alcuni dei nostri presidenti di regione. Sono solo truffatori o i Big pharma alimentano un mercato parallelo dei vaccini? La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta, segno che c’è qualcosa di poco chiaro. A conferma si potrebbe considerare la grande oscillazione dei prezzi. Secondo i dati forniti (involontariamente) dalla sottosegretaria belga al Bilancio, Eva de Bleeker, l’Europa paga poco meno di due euro per una dose di Oxford/AstraZeneca, 7 euro per Johnson & Johnson, 7 euro e 60 per Sanofi/GSK, 12 euro per BioNTech/Pfizer, 10 euro per CureVac e 15 per Moderna. Sul mercato parallelo sarebbe possibile reperire dosi del Pfizer fra i 50 e i 75 euro e a tanto – secondo indiscrezioni mai confermate – le avrebbe pagate Israele. Si capisce bene che tali prezzi, moltiplicati per milioni di fiale, fanno cifre da capogiro. La sola Ue ha stanziato 3,1 miliardi euro che potrebbero diventare 4,65 se necessario.

La questione che ha posto Draghi al Consiglio europeo non è l’ennesima lamentazione sulla mancanza dei vaccini. Draghi ha voluto in realtà porre una questione più profonda, che ha le sue radici nella politica e nell’etica. Il suo non detto è il seguente: se ogni Paese individua, controlla e protegge una serie di aziende ritenute strategiche per la sicurezza dello Stato, in una fase di pandemia come l’attuale, i produttori di farmaci e in particolare di vaccini possono rientrare in questa categoria? Ecco il tema, scottante, spinoso, carico di incognite.

L’esempio più evidente è rappresentato dall’industria delle armi. Proprio perché ritenuta strategica, il commercio dei suoi prodotti è svolto con precise limitazioni e sotto stretta vigilanza degli Stati. Per esempio, non si possono esportare tutti i tipi di arma né verso tutti i paesi. Ma anche le quantità sono sotto il controllo statale, che si fa ancora più severo quando si tratta di armi più sofisticate, più potenti, più moderne. Identico meccanismo in altri settori: nelle telecomunicazioni o nel mercato dell’energia o per i prodotti ad alto contenuto tecnologico. La pandemia sta dimostrando in maniera inequivocabile che anche i vaccini oggi sono strategici e forse più delle armi.

L’affermazione che il Covid ci sta cambiando la vita non solo è vera e ciascuno la sperimenta ogni giorno. Ma impone anche che essa sia recepita dai governi perché se, come sostengono molti scienziati il nostro futuro sarà sempre più condizionato da malattie sconosciute ed epidemiche, allora sempre più farmaci e vaccini diventeranno strategici per la vita di un Paese. Draghi ha capito che la soluzione di un problema come la pandemia non può essere affidata al mercato. Un mercato peraltro fortemente asimmetrico dove c’è una domanda altissima di vaccini e un’offerta scarsissima. Entrano così in gioco tutte le varianti e le speculazioni tipiche di tali situazioni. Questo è stato l’errore fatale dell’Ue quando ha pensato di aver risolto tutto stipulando contratti in anticipo e per ogni Paese.

Il vero potere, per paradossale che possa sembrare, oggi è nelle mani di Pfizer e compagni. L’hanno capito da subito Russia e Cina che si sono autoprodotte il vaccino: non è stata tanto questione di orgoglio o di mostrare al mondo la presunta superiorità scientifica, quanto di difendere e conservare il potere.

Oggi, e forse anche per i prossimi anni, i rischi per la democrazia non sono rappresentati dal terrorismo, dal sovranismo o da chissà quale movimento. I veri rischi sono nell’assenza di controlli sui colossi farmaceutici. E questo l’altro giorno Draghi l’ha detto con estrema chiarezza.

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