L'ANALISI

La partita pugliese tra premier e ministro

Leonardo Petrocelli

I giocatori in campo sono sostanzialmente due: il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Due che, fino a pochi mesi fa, erano le facce di un’identica medaglia

Se tutte le vie portano a Roma è probabile che quella maestra, almeno in questa fase, non parta dalla Liguria ma dalla Puglia. Perché, segreto di Pulcinella, la sfida delle elezioni regionali di settembre nel Tacco d’Italia non è solo una contesa territoriale, ma una partita a scacchi sulla pelle dell’esecutivo.

L’epicentro dello scontro è nel ventre molle del Movimento 5 Stelle. A volerla ridurre all’osso, infatti, i giocatori in campo sono sostanzialmente due: il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Due che, fino a pochi mesi fa, erano le facce di un’identica medaglia.

Fu il secondo a lanciare il primo e ora il primo, non più secondo a nessuno, prova a blindare se stesso confermando l’alleanza Pd-M5S in una Regione, la Puglia, che - oltre a essere la sua - è anche quella dal destino politico più incerto. Allo stato dell’arte, il risultato è aperto ma se i principali candidati da tre diventassero due, con l’uscita di scena della pentastellata Antonella Laricchia in favore di Michele Emiliano, la strada diventerebbe in discesa. Lo sa Conte, ma lo sa anche Di Maio che invece punta sullo status quo per indebolire l’avvocato del popolo che proprio lui, due anni fa, trasse dalle secche del più assoluto anonimato. D’altra parte, le mire dei due non sono un mistero. Conte proseguirebbe volentieri l’esperienza di governo o, al limite, potrebbe avallare un ritorno alle urne solo se questo servisse a rafforzare la sua posizione. Di Maio, invece, punta a disarcionare il premier e a varare un «governissimo» senza avvocato del popolo e magari con quel Mario Draghi con cui si è recentemente consultato Per di più una nuova maggioranza allargata potrebbe includere anche Forza Italia che, tra Mes e aperture al ddl sull’omotransfobia, sembra sempre più lontana dal fronte sovranista Lega-FdI.

Alchimie a parte, questa sorta di resa dei conti fra due creature del grillismo non nasce oggi e nemmeno ieri. È una sorta di guerra fredda che si trascina da un pezzo e tocca più nervi scoperti, dal controllo dei gruppi parlamentari del Movimento alle partita delle nomine. Ora siamo approdati all’ultimo giro di giostra. E su Conte aleggia - come lo spirito del Natale passato di Dickens - il fantasma di quel Massimo D’Alema che, perso nel 2000 il Lazio, capitolò anche a Palazzo Chigi. La Puglia è un’altra cosa, ovvio, e non è certo l’unica Regione al voto ma una eventuale sconfitta dell’area progressista porterebbe dietro sé uno sciame di polemiche e accuse incrociate tale da far tremare l’esecutivo. Anche perché ormai, intorno ai due contendenti, si sono strutturati altrettanti assi: con Conte si schiera Beppe Grillo che ha ingoiato perfino la candidatura di Ferruccio Sansa in Liguria pur di confortare il premier nella sua linea «giallorossa». E, a fianco dei due, arriva a rimorchio un insospettabile, cioè Alessandro Di Battista, l’ex movimentista di piazza, allergico ai dem, ma recentemente convertitosi alla linea del «sostenere la presidenza del Consiglio». Di Maio, da parte sua, può contare - almeno per la Puglia - sul capo politico Vito Crimi e sull’ex ministra per il Sud, Barbara Lezzi, da sempre molto distante dal governo giallorosso (e cordialmente ricambiata con altrettanta freddezza). In più la linea del ministro degli Esteri è quella che maggiormente si attaglia alla situazione pugliese: non è un mistero che qui l’identità regionale pentastellata si sia costruita proprio in opposizione a Emiliano, a cominciare da quel gran rifiuto che la Laricchia oppose al governatore appena eletto quando quest’ultimo le propose un ingresso nel governo regionale. Dunque, è probabile che le cose restino così anche perché la soluzione più semplice per sbloccare la partita sarebbe quella di liquidare Emiliano, dirottandolo al ministero della Giustizia, per far largo a un candidato dell’ultima ora capace di tenere insieme tutti, renziani compresi. Se ne parla da settimane ma è un giro di domino altamente improbabile col fattore tempo che briga in senso opposto. La campagna elettorale è partita e i motori più che riscaldati sono fumanti da un pezzo. Tutti tranne quelli di Conte che, in caso di mancata ricucitura, avrebbe grosse difficoltà a scegliere il cavallo per cui esporsi (Emiliano o Laricchia), finendo probabilmente per muoversi, magari in aiuto del governatore uscente, proprio nel modo che afferma di disprezzare di più. Col favore delle tenebre.

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