L'analisi
In politica la «medietà» è sinonimo di virtù
La conflittualità aumenta in assenza di progettualità. Occore puntare sulla sostenibilità delle formule a disposizione e sulla durabilità delle soluzioni individuate
Ripensando a quanto accaduto nella politica italiana nelle ultime settimane mi è tornata in mente la definizione di etica data da Aristotele. Per il filosofo greco il comportamento virtuoso coincideva con il concetto di «medietà» ovvero con la disponibilità, a ricercare il giusto mezzo tra due estremi, anzi tra due vizi che lo stesso Aristotele collocava con decisione nelle categorie «vizi per eccesso» e «vizi per difetto». E non è un caso che egli usasse come esempio il coraggio, condizione capace di posizionarsi nella zona di confine esistente tra la viltà (che è frutto dell’eccesso di paura) e la temerarietà (che invece dipende dall’esatto opposto, ovvero la sua mancanza). È la «medietà» la chiave con la quale leggere quello che sta avvenendo in queste ore all’interno di tre ambiti politici.
Ambiti politici che, per un motivo o per un altro, tendono ad interagire nella sfera pubblica: le sfide dei Cinque Stelle; l’attivismo civico delle Sardine; la svolta «moderata» della Lega.
Cominciamo con i pentastellati. Ci si è domandati se bastasse la sola figura del Capo politico o se non dovessero essere individuate altre soluzioni per rilanciare il Movimento. Ieri Di Maio, forte del voto sulla piattaforma Rousseau, ha presentato i cosidetti «facilitatori», alcuni con il compito di coordinare le diverse aree tematiche, altri con la responsabilità di affiancarlo nella gestione del nuovo modello organizzativo. Figure molto importanti quelle dei «facilitatori organizzativi» che in passato avremmo definito componenti della segreteria politica nazionale. Si tratta di Paola Taverna, Danilo Toninelli, Enrica Sabatini, Ignazio Corrao, Barbara Floridia ed Emilio Carelli, quest’ultimo con delega alla Comunicazione e fin dall’inizio interprete di un approccio pragmatico e moderato, come si addice a chi sa che è impossibile prescindere dalla realpolitik. Di Maio, presentando il «team del futuro», ha ribadito che i Cinque Stelle non intendono farsi assorbire né a destra, né a sinistra e che devono mantenere il punto su alcune battaglie identitarie. Volendo semplificare, si può dire che ormai i problemi si riducono a due: rafforzamento della leadership del capo politico anche grazie al nuovo assetto da un lato, rinnovata identità programmatica dall’altro. Pesa anche l’esigenza di reinterpretare il senso di un’alleanza, quella con il Pd, accolta positivamente dalla stragrande maggioranza degli iscritti, ma difficile da gestire nella quotidianità. Anche in questo caso la chiave più giusta si rivela essere quella della «medietà», concretizzabile con il metodo del cronoprogramma o del contratto, come ricordato dallo stesso Di Maio.
Passiamo ora alle Sardine. Dalla prima manifestazione a Bologna il 14 novembre a quella di sabato scorso a Roma, complessivamente sono stati 113 i flash-mob. Gli organizzatori di questi eventi di piazza ieri si sono confrontati per decidere cosa fare nel futuro. Sei i punti programmatici: l’eletto deve andare a lavorare nelle sedi istituzionali per le quali i cittadini lo hanno scelto; chiunque ricopra la carica di ministro deve comunicare attraverso i canali istituzionali; maggiore trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network; maggiore obiettività da parte della informazione; equiparazione della violenza verbale alla violenza fisica; abrogazione del decreto sicurezza voluto dalla Lega. Previsto nella road map delle Sardine anche un incontro con il premier Conte, con l’intento di dimostrare che lo scopo vero di questo movimento è quello di essere “corpo intermedio” in grado di collegare la politica alla società civile. Un altro esempio di ‘’medietà’’. Ci si chiede quale sia la ragione che spinge migliaia di persone diverse per età, ceto sociale, cultura e provenienza geografica a partecipare ad eventi di piazza. Ci si chiede anche se ci sia dietro una regia sapiente ed esperta o se tutto nasca in modo spontaneo. Le Sardine rappresentano un modo di contrastare gli eccessi e di ridurre i difetti della politica.
C’è chi, come Floridi, ha immaginato che le Sardine siano raffigurabili meglio con la metafora degli «anticorpi tra la rete e la piazza» poiché capaci di usare l’agorà (luogo democratico per eccellenza) e nel contempo la Rete (strumento di condivisione di idee e di coordinamento sociale, ma dal basso e non dall’alto). E’ stato messo in evidenza che l’ambizione di Mattia Santori, uno dei quattro organizzatori della prima piazza bolognese, non è mai stata quella di costituire un nuovo partito, piuttosto quella di creare uno spazio di partecipazione tra il Pd, la parte dei Cinque Stelle con lo sguardo più rivolto a sinistra e i Centri Sociali, peraltro assai presenti nel raduno di Roma. Al momento è impossibile sapere se con le Sardine si produrrà un vantaggio per la sinistra di governo o se invece tutto alla fine si trasformerà in una sorta di spina nel fianco dei partiti di governo che si muovono in quest’area culturale.
Concludiamo con la Lega. Una mossa a sorpresa quella fatta da Salvini sabato scorso in occasione della manifestazione “No tax day” di Milano. Un appello a tutti i partiti perché ci si possa fermare a riflettere per decidere quali siano le priorità del nostro Paese su cui intervenire. La proposta leghista comporta l’istituzione di un tavolo per riscrivere le regole del gioco, a partire dalla legge elettorale. Salvini, che ieri era a Bari, punta a diventare, proprio sulla legge elettorale, un interlocutore di quella parte del Pd che preferisce il maggioritario al proporzionale. I Dem hanno ricordato che Lega, Pd e Cinque Stelle, sono d’accordo sul sistema spagnolo con collegi piccoli ed uno sbarramento naturale. La svolta moderata del Carroccio è stata ulteriormente evidenziata dalle parole di Giorgetti, per il quale diventa necessario stabilire cosa sia davvero utile al Paese: impedire a Salvini di governare o risolvere alcuni problemi costituendo un esecutivo d’emergenza nazionale guidato da una personalità istituzionale, come per esempio Draghi? Dalle parti del Carroccio la “medietà” talvolta coincide con l’espressione «why not».
L’abbandono dei toni perentori e la scelta di approcci distanti dalla «anti-moderazione», per usare un’espressione cara a Galli della Loggia, sembrano avere la meglio sul resto. Con o senza la spinta dal basso. Del resto, la conflittualità aumenta in assenza di progettualità. Se si vuol far recuperare alla politica un po’ delle sue virtù, conviene puntare sulla sostenibilità delle formule a disposizione e sulla durabilità delle soluzioni individuate. In fondo si tratta di lavorare su eccessi e difetti, cioè, sulla «medietà».