L'analisi
La favola che l’autonomia conviene anche al sud
I meridionali votavano centrodestra anche prima che il leader ne fosse Matteo Salvini. Perché in discreta parte sono di centrodestra
Al tempo, si dice in atletica dopo una falsa partenza. Al tempo, bisogna dire anche dopo i risultati elettorali europei al Sud. Cioè ragioniamo. I meridionali votavano centrodestra anche prima che il leader ne fosse Matteo Salvini. Perché in discreta parte sono di centrodestra. E il centrodestra ora è di Salvini. Magari un po’ più di destra che di centro. Ma tutto un elettorato ora si sente rappresentato da Salvini. Compresi forse i moderati, che pur dovrebbero avere qualche difficoltà col tono politico più estremo della Lega. Parlando di fede e di appartenenza, il voto che le ha dato il Sud non fa quindi una grinza.
Nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018 il Sud aveva però scelto in maggioranza i Cinque Stelle. Si disse soprattutto per la promessa del reddito di cittadinanza. Le famiglie che non ce la fanno vivono soprattutto al Sud. E il pregiudizio antimeridionale fece presto a spacciare il tutto come un voto di scambio. Fatto sta che nel passaggio da primo partito italiano a terzo alle Europee, buona parte del consenso i Cinque Stelle lo hanno perso proprio al Sud. Colpa della maledetta primavera col maltempo che ha tenuto molta gente a casa. Ma colpa anche di una astensione poco meteo e molto da disillusione.
Il problema è che proprio il reddito di cittadinanza è passato da carta vincente a mezzo flop. Solo la metà delle famiglie candidate ha fatto domanda. I poveri che non si sono fatti sentire sono almeno 500 mila. E sono mancati all’appello anzitutto quei giovani che dovevano esserne i più interessati non per la paghetta statale ma per la promessa di un posto di lavoro. Giudicato tanto ipotetico da non fargli abbandonare la loro occupazione in nero, e per avere quattro soldi poi. Forse anche per questo non un solo leader dei Cinque Stelle è sceso per i comizi di chiusura al Sud. Magari non si fanno più comizi, ma tant’è.
Eppure i Cinque Stelle si sono confermati maggioranza in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia per quanto azzoppati. E su di loro si poggia la speranza del Sud di non vedersi sempre schiacciato come residuo d’Italia. Finora Di Maio e compagni hanno resistito in un governo e in un Parlamento in cui erano il doppio. Lo sono ancòra, ma con un potere di contrattazione dimezzato visto che nel Paese l’aria è diversa. E con la Lega pronta a cogliere ogni occasione per andare a elezioni anticipate e chiudere la partita.
Non è infondata la domanda al Sud che ha votato Salvini: scusate, ma come avete fatto? Avete dimenticato quando vi chiamava colerosi e terremotati? Però Salvini non si presenta più come Lega Nord ma come Lega e basta, una Lega nazionale per quanto una Lega Nord esista ancòra. E poi il centrodestra è passato di mano con Berlusconi abbandonato alla sua età e al cinismo della politica. Una scelta appunto ideologica senza troppa attenzione alle possibili conseguenze pratiche. Quelle sulla vita di ogni giorno del Sud.
La sensazione è che la storia ancòra una volta si ripeta nella disunità d’Italia: voti sudisti raccolti per fare politiche nordiste. Ora in cambio di sicurezza e guerra agli immigrati. Cioè neanche come in passato, in cambio di una assistenza che non desse sviluppo ma almeno sopravvivenza. Perché i primi due cavalli di battaglia che Salvini ha già rilanciato (e del tipo, prendere o spaccare) sono la
La prima, tassa piatta, riduzione indifferenziata delle tasse che a prima vista non può che piacere a tutti, essendo le tasse più piacevoli di un paio di scarpe strette. Ma a vantaggio soprattutto dei ricchi. Quindi dell’Italia dove ci sono i più ricchi. Con un buco nelle entrate che la Lega vuol coprire con un piano da 30 miliardi. E con un conseguente aumento del debito che probabilmente l’Europa (anzi gli altri Stati europei che hanno firmato i patti insieme all’Italia) gli farà vedere col cannocchiale. Meno entrate che significano meno servizi, a danno soprattutto di chi? Diciamo del Sud che già non è mai riuscito ad averne di sufficienti.
Non diversa conseguenza dall’autonomia differenziata pretesa da Veneto, Lombardia, Emilia e ora già dal Piemonte passato al centrodestra. Insomma tutto il Nord. Autonomia che non significa solo facciamo da noi, ma significa ci teniamo i soldi delle nostre tasse. Sottraendoli al resto del Paese, Sud in testa, tanto il Paese già non ci sarebbe più se non come Italia di serie A e di serie B. Tutte le dichiarazioni diranno il contrario: quel tipo di autonomia conviene anche al Sud. Non è così.
Si dice che la storia sia maestra di vita. Ma per chi la sta a sentire. Il Sud non si muove mai come un unico popolo e un unico territorio. Del tutto legittimo, benché politica significhi anche difendere i propri interessi al di là delle scelte personali di partito. Così automatiche potrebbero essere ancòra le conseguenze sul suo destino di posto dal quale perlomeno si può emigrare.