La riflessione
L’autonomia non fa cultura
Autonomia regionale: inesorabile destino italiano che tanto preoccupa i meridionali. Ma inevitabile perché lo abbiamo costruito un po’ tutti
Autonomia regionale: inesorabile destino italiano che tanto preoccupa i meridionali. Ma inevitabile perché lo abbiamo costruito un po’ tutti: dalle grandi forze politiche del passato DC e PCI, che sulla realizzazione delle Regioni strinsero un accordo forte eppure appena sussurrato, alle opinioni pubbliche locali a Nord come a Sud.Si realizzò un patto sociale che prevedeva la fine dello Stato unitario da tenere in piedi come apparenza anche se non lo confessavamo battendoci il petto in Chiesa.
Oggi l’autonomia coglie di sorpresa le Regioni meridionali sia per le conseguenze su delicati settori civili come la sanità, già malcondotta, su quelli economici come la agricoltura già a rischio per i cambiamenti climatici, il clientelismo localistico incapace di programmazione nell’età globale con i mandarini che arrivano dalla Tunisia, e proprio per la mancanza di capaci e stringenti politiche statali. Ed i settori di evasione e piacere come la cultura che fine faranno?
Sono possibili reali politiche di orgoglio culturale regionale?
Io personalmente l’ho creduto ma forse ho sbagliato e mi cospargo il capo di cenere. L’attuale TPP (Teatro Pubblico Pugliese) nasce dalla mia tenace volontà (e dalle mie illusioni) di allora di creare “infrastrutture immateriali culturali” nel Mezzogiorno. Quindi impostai molto bene, tant’è che non venne impugnata dal Governo, una legge famosa perché citata nei testi di diritto amministrativo come prima legge regionale sullo spettacolo, competenza che la Costituzione affidava allo Stato centrale. Roberto de Monticelli sul Corriere della Sera 16 maggio 1975 scriveva “La Puglia è in questo momento Regione all’avanguardia per la legge su teatro che vi è stata approvata”( Legge regionale n.16 approvata dal Consiglio regionale nel dicembre 1974 e promulgata nel gennaio 1975).
E anni dopo, quando l’invadenza regionale si andava sempre più precisando in diverse Regioni, il geniale regista Luca Ronconi (1933 – 2015) era certo che il teatro di prosa poteva sopravvivere in Italia regionalizzandosi.
Oggi possono tirarsi le somme. Il teatro di prosa italiano è in crisi profonda (bisogna dirlo ai giovani spesso buttati allo sbaraglio). Le classiche compagnie nazionali di giro stentano a sopravvivere ed i cast sono montati con qualche giovane, necessario per ottenere i contributi ministeriali, e degli attori conosciuti in TV con qualche riscontro di popolarità mediatica. La TV crea l’attore, il comico, il caratterista. Oggi non ci sarebbe spazio per un Ruggero Ruggeri e neppure per un Totò. Non a caso il cinema italiano crolla dinnanzi ai film francesi ancora con straordinari interpreti. Allora Regione e Teatro a stretto contatto anche per la pianificazione dei Teatri e le ospitalità. Il teatro sarà regionale e costruirlo non sarà facile. Il tempo delle infinite possibilità è finito. Sarà necessaria una legislazione coordinata, rigorosa trasparente ed un impegno serio formativo per giovani. Dovrà presiedere il tutto non l’arte della scena (cui non crede più nessuno: chi fa più uno Shakespeare integrale?) ma l’economia delle possibilità reali.
Il clientelismo e le illusioni fuori dalla porta degli Assessorati (e fuori dalla scena della politica).