La riflessione
Non servono più soldatini alla Fantozzi
La proposta avanzata dal ministro dell'Interno Salvini di ripristinare il servizio di leva obbligatorio è, ovviamente, poco più di una battuta da ombrellone
La «romantica idea» lanciata dal vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di istituire nuovamente il servizio di leva obbligatorio è, ovviamente, poco più di una battuta da ombrellone, per quanto spunti periodicamente nelle parole del leader leghista e attiri anche qualche simpatico nostalgico.
Sulla concreta possibilità di poter riportare in vita il servizio militare obbligatorio, per fortuna, non ci sono dubbi: è assolutamente impossibile, oltre che inutile e pure dannoso. Siamo certi che di ciò sia convinto anche lo stesso Salvini che, immaginiamo, utilizzi questo refrain solo come suggestione d’antan e non come reale intento.
L’esercito di popolo è superato dalla storia, dalla sempre più sofisticata tecnologia militare e dalle altrettanto complesse strategie sul campo che richiedono pochi uomini superaddestrati e in grado di utilizzare sistemi d’arma e tattiche d’assalto e difesa estremamente specialistiche. «La carne da cannone», come veniva cinicamente etichettata, non serve più. E comunque le strutture di servizio per forze armate numerose e ramificate come quelle di leva non ci sono più. Gran parte delle caserme italiane di un tempo sono state dismesse e, per lo più, giacciono abbandonate a se stesse, simulacro di un tempo naturalmente trapassato.
Cosa fosse diventato il servizio di leva obbligatorio negli ultimi tempi della sua esistenza lo sappiamo tutti. Una pachidermica «sovrastruttura» di assoluta inutilità e di assoluta inefficienza. Fare il militare di leva è toccato quasi a tutti, anche a chi scrive.
Non basterebbero diverse edizioni del giornale per raccontare la disastrosa inutilità di quel periodo. È sufficiente ricordare le fantozziane esercitazioni di tiro, solo due in un intero anno, con fucili («Garand» preistorici) consegnati già caricati ai poveri e maldestri soldatini: peccato si inceppassero tre volte su quattro. Per non parlare di taluni militari di carriera che avrebbero fatto sfigurare il colonnello Buttiglione di arboriana memoria e capaci di dar l’assalto solo a una lattina di birra. E poi le sale mensa dove venivano propinati, fra l’altro, tonno in scatola di dubbia marca per giunta scaduto da innumerevoli anni e pezzi di carne talmente datati da far rimpiangere una bistecca di dinosauro. Il tutto mentre i cofani delle auto di alcuni ufficiali e sottufficiali si riempivano di ogni ben di dio, alimentare e non solo.
Ovviamente, anche nelle caserme di quei tempi c’era la gente per bene e c’era chi, nell’ambito del limitatissimo possibile, cercava di svolgere il proprio lavoro con impegno e correttezza. Ma inutile negare l’innegabile: il malvezzo era diffuso. Per non parlare della frustrazione, non solo dei militari di leva catapultati nel mare magnum dell’inerzia, ma anche dei militari di professione, almeno di quelli coscienziosi: si rendevano amaramente conto di essere in un meccanismo che rendeva i loro sforzi purtroppo vani.
Per fortuna, anche allora, c’erano reparti d’eccellenza, e lì le cose funzionavano decisamente meglio. Ma si trattava di unità d’élite, le più vicine all’idea di un esercito professionistico.
Quando tutto il carrozzone è venuto giù non si è potuto che tirare un sospiro di sollievo. I rimpianti, pochini, per lo più, sono venuti da parte di chi con lo stop aveva perso qualche utile.
Resta il «romanticismo» della proposta, ma un esercito, per sua stessa essenza, di romantico può avere ben poco e, quindi, ben contenti che resti una suggestione.
Resta l’altra proposta, quella della Regione Veneto che vorrebbe istituire un servizio civile obbligatorio. Qui il discorso è più aperto e apparentemente più suscettibile di condivisione. Però, c’è un però. Siamo davvero certi che si senta la necessità di rendere obbligatorio un servizio che per sua natura non può che essere ispirato da un principio di volontarietà e di solidarietà?
È necessario un obbligo per aiutare il prossimo? Ovviamente no. Chi vuol farlo non ha bisogno di imposizioni e chi non vuol farlo è bene che resti a casa sua, dove fa sicuramente meno danno. Certo, l’appeal economico è notevole. Gestirlo porterebbe molte risorse. Ma a chi? A chi ha bisogno di aiuto? Pensiamo proprio di no. Meglio non creare un’altra «sovrastruttura», apparentemente solidaristica, ma che rischia di favorire solo i soliti noti. Il volontariato non ha bisogno di obblighi e di prosperose «organizzazioni». Non foraggiamo lo sperpero, ce ne è già abbastanza. Che almeno questo ci sia risparmiato.