ambiente e salute
Ma anche le città possono «curare»
La salute è il punto di partenza per ogni percorso di crescita personale, sociale ed economica
La salute è il punto di partenza per ogni percorso di crescita personale, sociale ed economica. Non è un bene distribuito equamente, né garantito, è una condizione dinamica e strettamente legata al contesto ambientale in cui viviamo. Non a caso, per l’Oms, circa il 25% delle malattie nel mondo è riconducibile a fattori ambientali modificabili. Un dato allarmante, che richiama la necessità di interventi sistemici, capaci di agire alla radice dei problemi.
L’ambiente, in questo scenario, non è solo natura incontaminata, è l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che consumiamo, gli spazi che abitiamo. È lo sfondo, e spesso il «motore», della nostra salute o malattia. Tutto ciò che altera questo equilibrio, come l’inquinamento atmosferico, il degrado del suolo, i materiali nocivi o le isole di calore urbane, diventa un rischio tangibile. Ed è proprio in risposta a questa realtà che si sviluppa la Medicina Ambientale, una disciplina interdisciplinare che intreccia medicina, ingegneria, diritto, economia e scienze sociali per proteggere la salute attraverso la tutela dell’ambiente. A guidare questo approccio a livello internazionale è la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), che promuove strategie orientate alla prevenzione, alla pianificazione territoriale e alle scelte politiche consapevoli. Perché ridurre l’inquinamento, fermare la cementificazione, contenere il consumo di suolo e limitare la deforestazione non è più solo una battaglia ecologica, è una priorità medica, sociale ed economica. E le città rappresentano l’epicentro di questa sfida. Con oltre 4 miliardi di persone, il 55% della popolazione mondiale, già residenti in aree urbanizzate, una quota che raggiungerà quasi il 70% entro il 2050, le città sono oggi il vero banco di prova per ripensare il rapporto tra territorio e salute. L’Europa è già oltre questa soglia, con il 75% della popolazione residente in città; in Italia, secondo la World Bank, si è arrivati al 72% nel 2024. Ma le città, con la loro densità abitativa, traffico, inquinamento atmosferico e acustico, impermeabilizzazione dei suoli, diventano spesso luoghi che ammalano: generano malattie respiratorie, cardiovascolari, metaboliche, mentali, stress e solitudine. Eppure, le città possono essere anche il contrario. Possono curare. Quando si progettano in funzione della salute pubblica, diventano spazi che promuovono benessere, longevità e coesione sociale. Le città che curano valorizzano la qualità dell’aria, la mobilità dolce, gli spazi verdi multifunzionali e accessibili, l’equità e la partecipazione. Sono luoghi in cui la pianificazione urbana è strumento di prevenzione, le politiche urbane rispondono ai bisogni reali delle persone, trasformando la salute in bene comune. La chiave p è la biofilia: il bisogno innato dell’essere umano di connettersi con la natura.
Oggi, questo «principio attivo» è supportato da un solido corpus di evidenze scientifiche. Il contatto con la natura riduce ansia e depressione, migliora l’umore, rafforza il sistema immunitario, riduce lo stress. Una scoping review pubblicata sul Journal of Global Health, che ha analizzato 39 interventi basati sulla natura (Nature-Based Interventions - NBIs), ha rilevato benefici per la salute mentale nel 98% dei casi, fisica nell’83% e cognitiva nel 75%. Camminate consapevoli, orticoltura urbana terapeutica, forest bathing e prescrizioni mediche di tempo nella natura non sono semplici passeggiate, ma vere e proprie terapie integrate, in grado di produrre cambiamenti misurabili su pressione arteriosa, livelli di cortisolo, attenzione e benessere psicosociale. Anche una revisione pubblicata su Lancet Planetary Health conferma che le NBIs migliorano la regolazione emotiva, il senso di scopo, la qualità della vita, con effetti positivi su autismo, dipendenze e disturbi dell’umore. La connessione con la natura aumenta l’autoefficacia, riduce la solitudine e favorisce comportamenti ecologici e solidali. Una recente ricerca australiana ha mostrato che trascorrere 1–2 ore settimanali in spazi verdi riduce il senso di solitudine del 69% in 4 mesi e del 110% in 16 mesi.
Ma il verde urbano è molto più di una terapia personale, è un’infrastruttura collettiva. Parliamo di alberature stradali, parchi, tetti e pareti verdi, boschi urbani, zone umide, capaci di abbassare la temperatura estiva fino a 5°C nei quartieri più colpiti, proteggere dalla crisi climatica e assorbire acqua piovana, prevenendo allagamenti. Sono barriere naturali contro l’inquinamento: studi pubblicati su Environmental Pollution e Nature dimostrano che alberi e infrastrutture verdi possono ridurre fino al 25% il particolato fine (PM10 e PM2.5) in aree urbane ad alta densità. Una metanalisi del 2023, sempre su The Lancet, conferma che l’aumento della copertura arborea si associa a una diminuzione significativa della mortalità per inquinamento atmosferico, soprattutto nelle grandi città. Il verde urbano incide anche sulla sicurezza sociale. In contesti nordamericani, è stato osservato che edifici di edilizia pubblica con maggiore vegetazione presentavano il 52% in meno di reati totali, il 48% in meno di reati contro la proprietà e il 56% in meno di crimini violenti rispetto a quelli con poca vegetazione. La presenza di spazi verdi stimola relazioni, favorisce comportamenti civici e rafforza il senso di comunità, migliorando la percezione di felicità indipendentemente da reddito e livello d’istruzione. La visione delle Biophilic Cities, città che integrano sistematicamente la natura nel tessuto urbano, indica una strada concreta, già percorsa anche in Italia da Verona, prima città a essere ufficialmente riconosciuta come Città Biofilica. Pensare le città come spazi di cura non è un’utopia, ma una responsabilità concreta, scientifica ed etica. È un investimento nel futuro collettivo, per un’urbanistica che previene, una sanità che protegge, una società che non lascia indietro nessuno. In questo scenario, la medicina ambientale si rivela la bussola per orientare scelte amministrative, pianificazione territoriale e politiche pubbliche. Riportare la natura dove è stata espulsa, riumanizzare l’ambiente costruito, ricostruire legami tra persone e luoghi: questo è il primo, indispensabile passo verso città che non solo ospitano, ma nutrono la vita.