IL PERSONAGGIO
Michele Lazazzera: «Io, barese di Carrassi, dalle piste polverose ai 100 metri di Seoul»
Oggi 55enne, alle Olimpiadi di Seul scese in pista nei 100 metri accanto agli altri due velocisti Azzurri Piefrancesco Pavoni ed Ezio Madonia, selezionati dalla Federazione
BARI - Dalla pista polverosa in terra battuta della caserma Rossani di Bari a quella luccicante dello stadio Olimpico di Seoul. Prima di lui, l’unico atleta pugliese a gareggiare a Giochi nelle discipline di velocità fu un certo Pietro Mennea. Dopo, invece, nessun altro velocista della regione ha avuto l’onore di rappresentare l’Italia alle Olimpiadi nella specialità che più sprint non si può. Correva l’anno 1988, e l’impresa di Michele Lazazzera, allora 20enne, barese del quartiere Carrassi, agente della polizia penitenziaria, torna di attualità alla luce dei Giochi di Parigi appena iniziati in cui la squadra azzurra di atletica con Marcell Jacobs in testa, è quella da battere dopo il clamoroso exploit di Tokyo 2020. «Sono trascorsi 36 anni da quei giorni indimenticabili, ma per me è come se fosse ieri», racconta Lazazzera, oggi 55enne, che alle Olimpiadi di Seul scese in pista nei 100 metri accanto agli altri due velocisti Azzurri Piefrancesco Pavoni ed Ezio Madonia, selezionati dalla Federazione. «Dopo avere superato con il terzo tempo (10” 40) la batteria numero 17, approdai ai quarti dove accanto a me c’era Desai Williams, fortissimo canadese. Lui vinse, io arrivai quinto (con un tempo di 10” 37). In semifinale passavano i primi quattro, ma non ho nulla da rimproverarmi, l’ultimo a qualificarsi mi lasciò tre metri indietro…», scherza Lazazzera. Se la sua avventura olimpica finì lì, resta l’impresa sportiva e umana che va ben oltre almanacchi, numeri e statistiche. Nel campo di allenamento a Seul, l’ex velocista barese ha incrociato Carl Lewis e Ben Johnson, anche se la stella di quest’ultimo, proprio in Corea, precipitò clamorosamente, travolta dallo scandalo doping. «Avevo 20 anni e per me erano mostri sacri, non ho avuto neanche il coraggio di avvicinarmi a loro mentre ci riscaldavamo anche perché la concentrazione in quei momenti è massima per tutti e ciascun atleta pensa solo alla gara in un’atmosfera ovattata in cui in testa ci sono solo i blocchi di partenza, la pista, il traguardo».
La prima (e unica) Olimpiade di Lazazzera è coincisa con l'ultima di Mennea che nel 1988, gareggiò nei 200 metri, specialità in cui vinse l’oro a Mosca otto anni prima (esattamente 44 anni fa, era il 28 luglio 1980) e stabilì alle Universiadi di Città del Messico il record del mondo che ha resistito per decenni (19” 72). Mennea a Seul superò la prima batteria e poi si ritirò. «Era il portabandiera della delegazione Azzurra, durante la cerimonia d’inaugurazione lo guardavo con ammirazione e rispetto mentre venivo assalito, dalle emozioni: a soli 20 anni c’ero anche io a rappresentare l’Italia a Seul. Il tifo, i colori, lo stadio olimpico pieno. Meraviglioso, da non crederci ancora oggi». Uomo di poche parole, non era facile entrare in sintonia con la leggenda di Barletta. «Era introverso e riservato, non ho mai avuto il coraggio di chiedergli neanche un consiglio… Parlammo molto di più tre anni prima, durante un meeting a Brindisi in suo onore. Avevo battuto il record italiano under 17 e mi disse: «Michele, complimenti, sai che io gareggio sui 200 metri, avresti voglia di tirare con me i primi 100 per stimolarmi a metà gara?». Una sorta di sparring partner dell’atletica.
Ma torniamo a Seul. «Il villaggio olimpico, l’enorme Tricolore che copriva tutta la parete del grattacielo che ospitava la delegazione, le code a mensa, atleti e culture di tutto il mondo - ricorda Lazazzera -. Sensazioni uniche che in quel momento non riuscivo a godermi appieno, concentrato com’ero sulle gare. Le prime gare, i campionati italiani e poi arriva la convocazione alle Olimpiadi che non ti aspetti e si scatena l’inferno. Era talmente impossibile l’eventualità, che nelle tabelle dei premi federali non era prevista. Infatti non ebbi alcun premio... anche se il riconoscimento più bello non me lo leva nessuno: la splendida ricompensa per il sacrificio di un anno, dagli allenamenti all’alimentazione, era semplicemente esserci. E io c’ero. Per me, poi, era tutto nuovo, 21 giorni incredibili: arrivammo 10 giorni prima delle gare per abituarci al fuso orario e allenarci alle condizioni ambientali. Il giorno delle due gare, sveglia alle 5 per stare alle 9 ai blocchi».
Ma lasciamo il passato e percorriamo... velocemente gli ultimi, cento, meravigliosi metri con il traguardo con vista sul presente, i Giochi di Parigi. Tra qualche giorno in pista scenderà, tra gli altri Jacobs. «È stato straordinario anche agli Europei, Marcell è capace di continuare a stupirci, ha tirato fuori un tempo strepitoso dopo essere già sceso sotto i 10”. Ha la capacità unica di esaltarsi nelle manifestazioni più importanti, quelle che contano. In gara quando è dietro i blocchi scatta la molla giusta nei momenti decisivi. Sono fiducioso non solo su di lui ma sulle potenzialità di tutta la squadra Azzurra».
L’atletica oggi resta il mondo di Lazazzera che collabora come allenatore con le società Amatori Cisternino, presieduta da Vito Vasta e AlterAtletica Locorotondo di Marco Rubino e Antonio Petino. Dal suo speciale osservatorio, in Puglia c’è ancora molto da lavorare a livello di scuole, mentalità e impianti. «Quando gareggiavo sono stato fortunato, la mia famiglia mi ha aiutato tantissimo così come il mio allenatore, Renato Profita cui devo tanto e che non c’è più. Purtroppo oggi nei genitori manca la cultura sportiva. Non vogliono venire in pista per pigrizia, eppure qui un ragazzo si diverte, fa tutto, corsa, salti e lanci prima di scegliere la disciplina più adatta. Un tempo si girava per le scuole a caccia di talenti, come è capitato a me da allievo. Così ho iniziato. Adesso non accade più. E poi c’è un serio problema di strutture. Una pista di atletica è pensata per resistere almeno 10 anni, al campo Bellavista nel quartiere Japigia a Bari dove alleno, quattro anni dopo la consegna, ci sono dei buchi, in alcuni tratti la superficie è sollevata e facciamo gare senza avere a disposizione gli spogliatoi. Per un ragazzo del Sud è molto più complicato emergere». Dai vecchi tempi delle piste polverose ad oggi in Puglia non è che sia cambiato molto.