L'analisi della Svimez

Il pollo di Trilussa

Giovanni Rivelli

Qualità della vita in discesa e spopolamento

Due nomi, Basilicata o Lucania, due mari, Tirreno e Jonio, due province, Potenza e Matera, e anche l’economia della Basilicata sembra avere due facce: da una parte quella dei grandi player presenti in regione (oggi l’industria automobilistica a Melfi e quella degli idrocarburi in Val d’Agri e da poco nella valle del Sauro, un tempo anche i salotti murgiani) i primi, a livello nazionale, a cogliere l’onda della ripresa appena alza la cresta; dall’altra parte il «corpaccione» della regione, fatto di persone e aziende che stentano a tener testa alla ripresa, dove aumentano il disagio sociale, le disuguaglianze e la precarietà, dove i giovani sono in fuga e i diritti di cittadinanza praticamente limitati.

Non è una novità, ma lo scenario della Basilicata descritto dallo Svimez non è affatto rassicurante. E solo leggendo i numeri alla luce di questo «dualismo» si può provare a trovare una logica.

 Il Pil, ad esempio, nell’ultimo anno è aumentato di poco, uno striminzito 0,7%. L’anno precedente era cresciuto del 2,1% più del doppio della media meridionale e due volte e mezza quella italiana e l’anno prima era ancora stata maggiore. A conclusione, rispetto al 2008 la Basilicata ha quasi recuperato del tutto. Manca poco più di un punto. Insomma i lucani guidano la ripresa.

Ma a spegnere gli entusiasmi ci ha pensato Luca Bianchi, direttore della Svimez, commentando l’anticipazione dei dati 2018. «La Basilicata - ha spiegato - ha recuperato , però nel frattempo ha avuto un peggioramento molto forte della qualità della vita. C’è stata una precarizzazione molto spinta del mercato del lavoro, un peggioramento dei servizi sociali, sono aumentate le disuguaglianze interne, la precarizzazione del mercato del lavoro, un incremento del disagio sociale».

Affermazioni che fanno pensare che sono in tanti, qui, a poter dire che in fondo si stava meglio quando di stava peggio. Con un aggravante in più. Che per la Basilicata, parola sempre di Bianchi, il recupero dei livelli del 2008, nemmeno ancora raggiunto, non vuol dire recupero di livelli di tranquillità e benessere. Insomma, spiega «sei leggermente al di sotto rispetto al 2008 quando questo livello di Pil già garantiva a stento i livelli essenziali; ora dopo dieci anni non riesce più a garantirli e nel frattempo si è molto indebolito il settore pubblico che offre i servizi alla cittadinanza».

Situazione difficile, insomma. E per uscire dal pantano colpe da individuare e in fretta. Almeno questo, stando ai dati Svimez, non è un problema insormontabile. Perché da un lato emerge una riduzione degli investimenti pubblici come in tutto il Sud (dal 2008 al 2017 meno 8%) con la corrispondente crescita di mezzo punto al Centro-Nord, dall’altro c’è la scarsa efficienza della pubblica amministrazione (si badi bene, tutta la pubblica amministrazione, non solo quella dei poteri locali) che, fatto cento il livello del Trentino «primo della classe», vede la Basilicata a quota 42. Ma alla fine dei conti anche questo è un problema di soldi. «Da una parte - spiega ancora Bianchi - c’è un problema di risorse. E cioè le risorse pubbliche non sono equamente distribuite sul territorio. Però il dato indica anche una minore efficienza nella gestione dei servizi ; calcola che questo indice è la somma di tanti servizi che vanno dalla quota di rifiuti urbani smaltiti in discarica, alla lunghezza delle file per le analisi cliniche o alle Poste, la qualità di infrastrutture: non dimentichiamo che sono mancati gli investimenti. Cioè il basso livello di investimenti di ferrovie, Anas, Enel nel mezzogiorno determina una minore infrastrutturazione e quindi una peggiore qualità dei servizi. Nell’elenco di quell’indice sintetico c’è dentro tutto, sia elementi di infrastrutture, che di spesa, e di inefficienza».

Inefficienza che produce meno servizi e abbassa la qualità della vita. E anche questo, spiegano dalla Svimez, è uno dei motori dell’emigrazione. Dalle file più lunghe ai minori servizi per l’infanzia (ad esempio solo il 6% va all’asilo nido, la metà che nella media Paese), dalle carenze nell’assistenza agli anziani alla minore disponibilità di cure. Elementi che si sommano all’economia debole e alla mancanza di lavoro e portando ad andare via. Si parte dai paesini lucani, dove vivono i quattro quinti dei residenti, e anche le due città capoluogo non riescono a intercettare il flusso. E questo, quello dello spopolamento, è forse il dato più drammatico. Senza investimenti, in particolare infrastrutture dice bianchi, si rischia che tra saldo naturale, con più morti che nati, e saldo migratorio, la Basilicata in meno di 50 anni perda il 30 per cento dei suoi residenti: dai 570mila di oggi ai 403mila del 2065. Con un ulteriore paradosso dietro l’angolo: se ci saranno ancora i grandi player il Pil pro capite, dividendo il totale per il minor numero di residenti, crescerà. Il pollo di Trilussa (tu ne mangi due, io zero e per la statistica è uno a testa) è, insomma, servito.

Privacy Policy Cookie Policy