L'intervista

Marco Ligabue, il nuovo disco è una «mappa sonora» per riscoprire la «geografia emotiva» della musica

Bianca Chiriatti

Un invito a riprendersi il tempo dell'ascolto, un «Manuale Alternativo per Sentire»

Non un disco comune, ma una «bussola» che invita a ripensare l'unica geografia che conta: quella emotiva. Esce oggi in vinile, e dal 28 sulle piattaforme digitali M.A.P.S. – Manuale Alternativo Per Sentireil nuovo album di Marco Ligabue, un lavoro diviso in due mondi che dialogano, maturato attorno a un’idea semplice e radicale: trasformare la musica in una mappa interiore. Il Lato A, «La Geografia del Mondo Esterno», attraversa gli elementi naturali — fuoco, terra, aria, acqua — in un racconto fatto di energia e consapevolezza. Il Lato B, «La Geografia Interiore», vira verso il personale: amore, nostalgia, svolte possibili. Presentato in anteprima a Roma e Milano, e anticipato dal singolo «L'ultima notte», nell'album c'è la squadra che da anni collabora con Marco, Jonathan Gasparini (chitarre), Jack Barchetta (basso), Lenny Ligabue (batteria, mastering), Luca Zannoni (tastiere). Prodotto da M.O.M. S.r.l. – MUSIC OVERDRIVE MANAGEMENT e distribuito da The Saifam Group, la versione digitale è affidata ad Artist First.

Quali sono le coordinate di questo «Manuale»?

«Ho giocato un po' con le parole, mi piaceva il senso di "M.A.P.S." come viaggio, quello fisico ma anche quello più intimo, e mi piacerebbe che con la musica ci si prendesse il tempo che serve per ascoltare, riscoprire delle cose, un attimo di pausa e riflessione. È stata anche una sfida artistica, mi piace dare degli stimoli nuovi. Sono due lati che si completano».

Parlando della geografia vera e propria, com'è il suo rapporto con i luoghi?

«Ci sono alcuni punti fermi, ovviamente la mia Correggio, la mia Emilia in generale, qui ho le mie radici, mi sono formato, ho trovato la mia identità. Poi Bologna è sempre stata un po’ simbolo della bella nottata, oltre che di tanta musica. Mi sento un po’ un vagabondo, un cittadino del mondo, in ogni paese cerco di sentirmi a casa, perché la musica è anche un modo per tenere insieme le persone, ritrovare la voglia di condividere, di abbracciarsi. Quindi il mio “luogo” è quello lì: il palco nei paesi, nelle piazze, fra la gente».

Nel singolo che anticipa l'album si parla della notte, come la vive?

«È rimasta uno degli ultimi momenti dove puoi veramente staccare dalla velocità, dalla distrazione, dalla marea di informazioni e notizie negative da cui siamo bombardati. Sembra che i problemi abbassino il volume dei nostri sogni, delle passioni, ambizioni e cose che vogliamo vivere intensamente, come se ci mettessero in stand-by in attesa che prima o poi andrà meglio. La notte ha questo potere: la magia di farti dimenticare tutto e amplificare gli stati d’animo belli, che sia una notte matta con gli amici o una notte intensa con la persona amata».

Nel disco hanno partecipato i musicisti con cui suona da sempre. Quanto è importante la condivisione?

«È decisiva. Quest’anno abbiamo fatto un tour bellissimo, di oltre 50 date con la band. Se non c’è affinità, visione comune, è difficile fingere. Noi siamo in quattro: batteria, basso, chitarra elettrica, io canto e suono l'acustica. Non abbiamo basi, sequenze: c'è un grande lavoro di arrangiamento, ma soprattutto serve avere la stessa intenzione e intensità. Parte da quando ci vediamo davanti al furgone, carichiamo gli strumenti, prendiamo un caffè in autogrill, e perfino quando una serata va storta, è fondamentale avere vicino le persone giuste».

Se potesse lasciare a chi ascolta questo disco una direzione da seguire, quale sarebbe?

«La direzione del sogno. È sempre stata la prima per me».

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