L'intervista

Con l'Antonio Simone Trio il grande jazz pugliese è volato in Argentina

Bianca Chiriatti

«Mi ha colpito il calore del pubblico: per loro il musicista è davvero una persona con i superpoteri»

Il jazz italiano ha fatto tappa in Sudamerica grazie al pianista e compositore pugliese Antonio Simone, protagonista di un tour in Argentina con il suo progetto «Alma Errante», alla guida dell’Antonio Simone Trio. L’iniziativa è nata dalla vittoria del bando OltreConfine – Il Jazz Italiano nel Mondo, per promuovere il jazz italiano contemporaneo nei contesti internazionali più prestigiosi attraverso concerti, masterclass e attività formative. Accanto a Simone il batterista Marcello Spallucci e il bassista Federico Hilal hanno dato vita a una vera e propria celebrazione in equilibrio tra contaminazione culturale e il concetto di «mistura» tipico della musica argentina.

Simone, è appena rientrato dal tour: qual è stata l’emozione più forte?

«Vero orgoglio e gratitudine, gioia e responsabilità nel vedersi e sentirsi su un palco in cui sia studenti che pubblico ti vedono come l’artista che sta rappresentando il jazz italiano in quella parte del mondo. In Italia abbiamo veramente grandi talenti in continua crescita e affermazione, e sentirsi parte di una “comunità” artistica creativa di spessore è un incoraggiamento a credere ancora di più in se stessi e ad accrescere consapevolezza nella propria capacità creativa».

L’Argentina ha una tradizione musicale ricchissima, dal tango al folklore: come ha dialogato con la sua musica?

«Va trattata con grande rispetto e di conseguenza il materiale musicale utile al dialogo va utilizzato e dosato con parsimonia ed attenzione. Bisogna trovare il giusto equilibrio affinché l’uno non prevarichi sull’altro. Questo è quello che abbiamo cercato di fare col trio, confrontandoci sull’approccio e sulle diverse pronunce dei suoni e su nuove intenzione per i brani».

Avete suonato in contesti diversi, dai jazz club alle scuole di musica: cosa l'ha colpita del pubblico argentino?

«Il loro calore e la vera attenzione all’ascolto quasi inesauribile, l'energia e la gioia mostrata durante e a fine concerto, dietro le quinte o giù dal palco. Ricordo che appena il mio sguardo incontrava i loro occhi, c’era grande ammirazione e traspariva il messaggio che per loro il musicista è davvero una persona con i “superpoteri“, che può farsi apprezzare e e riscattarsi nella società perché è riuscito a fare della passione il proprio lavoro. Si avvertiva un tipo di rispetto che oggi non trovi più in alcuni ambienti».

Cosa avete portato a casa, artisticamente e umanamente, da questa contaminazione culturale?

«Sicuramente suonare con Hilal, ospite del trio, ci ha fatto capire l’estetica della loro musica e l’approccio ad alcuni temi o elementi musicali. Umanamente ci portiamo la genuinità con cui questa gente affronta la propria vita musicale e non. L'ho visto specialmente nei giovani studenti, pieni di aspettative, con sguardo luminoso la speranza che la musica possa aiutarli a riscattarsi e a valorizzarsi».

Guardando alla sua carriera, dalla Puglia agli Stati Uniti e ora al Sudamerica, come percepisce l’evoluzione del suo percorso musicale?

«Credo sia stata l’occasione per completarsi anche sotto punti di vista tecnici, della prassi musicale sudamericana, e manageriali».

Dopo questa esperienza, quali sono i prossimi passi?

«Questo viaggio in un territorio cosi suggestivo influenzerà la nostra musica futura, non vediamo l’ora di sviluppare il materiale musicale in una certa direzione. Speriamo di concretizzare collaborazioni con grandi musicisti del jazz italiano e non, nella sfida di mescolare questo materiale musicale con gli ospiti del nostro trio».

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