Lo spettacolo

Pietro Morello sul palco a Bari: «La mia vita tra musica e missioni per aiutare i bambini»

Bianca Chiriatti

L’artista e creator classe '99 al TeatroTeam con «Non è un concerto»: «La mia generazione sta cambiando il mondo»

Una vita dedicata alla musica, alle missioni umanitarie, e al racconto di tutto questo sui social, con un seguito di oltre 4,6 milioni di follower: parlare di numeri di solito è superfluo, ma nel caso di Pietro Morello, artista e creator torinese, dà la dimensione del fenomeno, in un mondo che sembra sempre più mettere da parte gli ultimi. Pietro sarà a Bari il prossimo 30 novembre, al TeatroTeam, per una tappa di Non è un concerto, spettacolo in cui racconta il suo mondo, tra note, missioni e attività negli ospedali con i bambini, tutte legate da un unico fil rouge: la felicità. Prodotto da Midriasi e Compagnia della Rancia, con la regia di Mauro Simone, è ispirato anche dal libro di Morello, Io ho un piano, uscito per De Agostini, e propone al pubblico musiche originali e brani celebri, intrecciati con racconti sul sentirsi bambini e sulla voglia di riscatto.

Morello, è abituato a raccontarsi davanti alla telecamera, cosa prova a farlo dal vivo davanti al pubblico?

«Sicuramente la gente mi conosce come musicista, ma non riesco a vivere lo spettacolo con la frontalità di un concerto, “io suono e voi ascoltate”. Mi sento ambasciatore di racconti che mi hanno regalato i bambini, tutti collegati attraverso la musica, e l’obiettivo è che il pubblico la viva al 100%».

Invece fra lei e chi la segue sui social che rapporto c’è?

«C’è molta sincerità, vengono fuori storie meravigliose, si è costruito negli anni un legame strettissimo. Però mi manca un contatto ulteriore, perché il web è illusione, sono milioni di numeri che non diventano automaticamente persone. Ecco perché quando invece sono su un palco, con una platea davanti, di gente reale, cambia tutto».

Lei gira già da un po’ portando in scena la sua musica e la sua esperienza: dalla prima volta a oggi in che cosa si sente cambiato?

«Devo aggiungere la parola “profondamente cambiato”. Sono in un percorso di crescita continua, sto imparando tanto e ho capito tante cose, ma è un miglioramento che ho già intrapreso nel rapporto con me stesso. Rispetto alla prima volta, che è stata proprio qui in Puglia, a Barletta, in occasione del TedX, ho più consapevolezza di come si raccontano le storie, come si sta sul palco, sono cambiate anche alcune mie convinzioni personali».

A livello di struttura lo spettacolo come è composto?

«La maggior parte dei brani sono stati scritti da me insieme ai bambini, li ho poi rivisitati con due musicisti. E ci sono anche canzoni più conosciute, per far sì che le persone possano immergersi completamente».

Il tour le occuperà un bel po’ di tempo, dopo cosa c’è in programma?

«Ricomincerò con le missioni, all’inizio del 2025. Anche in quell’ambito ci sono un po’ di evoluzioni, nuovi percorsi, sicuramente sarò nell’area centrafricana»

Parliamo un po’ del suo successo sul web.

«Quello di cui sono più orgoglioso è che la spontaneità e l’entusiasmo che mi contraddistinguono rispecchiano il mio modo di vivere, sono felice di parlare di alcune cose. Ma la cosa più bella è quando un genitore, o un ragazzo stesso, mi dice di aver iniziato a suonare perché mi ha visto farlo. O ancora che vorrebbe iniziare un percorso con i bimbi come ho fatto io. La vita ti porta a compiere scelte, cambiare percorsi, è bello essere un’ispirazione in questo senso».

La sensibilità per le questioni umanitarie da dove arriva?

«Sono figlio di due pedagogisti, sono da sempre interessato al mondo dell’infanzia. Poi alle missioni umanitarie mi sono avvicinato con senso di avventura e scoperta».

E invece il rapporto con la musica?

«Quello nasce dal bullismo. Odio i vittimismi, ma è successo, ho perdonato i miei compagni, il mondo degli adulti, la musica per me è stato un modo per dire: “Ehi, ci sono anch’io!”, un bastone a cui appoggiarmi».

Per il futuro ha progetti? Scriverà ancora?

«Mi proietto solo al domani, avrei voglia di insegnare, fare corsi, divulgare. Una sorta di Alberto Angela. Scrivere mi piace, ma ho capito che non è il mio. Il libro è diventato uno spettacolo, ma quel linguaggio non è il più efficace, almeno per me».

Una vita così intensa, e ha solo 25 anni: un commento sulla sua generazione?

«È fantastica. Siamo troppo abituati alla retorica dei problemi, al fatto che abbiamo in mano una comunicazione macroscopica che enfatizza qualunque cosa, ma in realtà abbiamo voglia di fare, ci sono ragazzi giovanissimi che stanno cambiando il mondo, rivoluzionando il pensiero. Una figata pazzesca».

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