La storia
Dalla street art di Poggiofranco alle strade di New York: l'arte della barese Giulia Feleppa, tra fotografia e hip hop
La sua storia comincia dai portici di via Carrante, dove i break dancers baresi si allenavano e i graffiti cominciavano a catturare la sua attenzione. Oggi, tre lauree dopo, la sua avventura continua negli States
Da Bari a New York con la fotocamera al collo. La storia artistica di Giulia Feleppa, 35 anni, comincia dai portici di via Carrante a Poggiofranco, dove i break dancers baresi si allenavano e i graffiti cominciavano a catturare la sua attenzione. La sua città natale l'ha vista indossare per prima pantaloni larghi e hoops giganti, ma è il Queens che adesso accoglie la sua passione e la sua arte. E oggi, tre lauree e diverse avventure dopo, si aggira tra le strade newyorkesi per fotografare la street art e tutto l'immaginario Hip Hop di cui brulicano gli States.
«Qui mi sento davvero accolta, la comunità Hip Hop è molto aperta con chi ha questa passione», racconta Giulia, arrivata negli Stati Uniti nel 2015. In Italia, si divideva tra l'Università (è laureata in Lingue) e la scuola di danza, poi, dopo una parentesi in Germania, il sogno americano è cominciato con l'esperienza da au pair. È atterrata a Boston, poi si è trasferita a New York, e nel frattempo si è iscritta di nuovo all'università, laureandosi in Communication Design. «Una cosa che mi piace dell'America è che non mai troppo tardi per ricominciare. Lì, all'università, venivano tutti da background diversi e avevano età diverse», racconta.
«La passione per la fotografia nasce come un hobby. Da quando mi sono trasferita ho sentito il bisogno di condividere con la mia famiglia e i miei amici rimasti in Italia ciò che vedevo. Non solo gli scorci di New York, ma anche i graffiti che arricchiscono questa città e che facevo vedere ai miei amici breakdancer e street artist». Ed è proprio così che è iniziata la sua storia d'amore con la fotografia: a Poggiofranco, vicino l'istituo scolastico Gorjux, le pareti ricoperte di graffiti che facevano da palcoscenico ideale per i ballerini di hip hop sono diventate i suoi primi soggetti.
«All'epoca – racconta – usavo il cellulare, qualche volta le fotocamere con pellicola». Oggi, più di un decennio dopo, i suoi scatti sono stati esposti a New York (Up Magazine, Artel Fest, The Buren), ma anche a Los Angeles e poi anche in patria, più precisamente a Milano (The Street Soup).
«Per me la fotografia è una sorta di terapia. Mi permette di perdermi tra le strade della città, cogliere quei dettagli o quegli angoli che mi sembrano più interessanti. La macchina fotografica racconta un po' come mi sento, è quello spazio liminale in cui si manifesta la malinconia, il senso di solitudine che una città come questa può dare. La fotografia mi aiuta tanto, una compagna di vita e di avventure».
Una metropoli ambivalente, dunque, ma che per adesso rimane il futuro di Giulia, che dopo aver lavorato come graphic designer per una compagnia di architetti sta per rimettersi a studiare. «La mia aspirazione è quella di rimanere qui, perché qui è dove nato l'Hip-Hop. Per me è un continuo studio, voglio continuare a documentare questa cultura. Vorrei tanto raccontare agli altri come l'Hip Hop è vissuto negli States: una comunità enorme, internazionale, una famiglia in cui ci si supporta, non importa da dove vieni».
La foto in copertina è di Francesca Magnani