Il cinema in Puglia
«L’atleta di cristallo» di Fiermonte coraggiosa impresa del pugile-attore
L’unico film da regista di Enzo, il boxeur di Casamassima che sposò una superstite del Titanic
Parlare di questo film oggi praticamente introvabile, «L’atleta di cristallo», girato a Bari nel 1946, ci dà l’occasione per tratteggiare un personaggio geniale, poliedrico, straordinariamente moderno, cioè Enzo Fiermonte, pugile, attore e regista cinematografico nato a c nel 1908 e morto a Mentana (Roma) nel 1993, a 84 anni, dopo una vita irripetibile, trascorsa tra il suo paese d’origine, il capoluogo pugliese, Roma e gli Stati Uniti d’America.
Tre mogli, cioè la romana Tosca Manetti - che lo rende padre dando alla luce il figlio Giovanni -, la newyorchese Madeleine Astor Dick, nata Force, più anziana di lui di 15 anni, sopravvissuta al naufragio del Titanic del 1912, e la hostess italiana Molly Giordano, con la quale visse la più bella storia d’amore della sua vita.
Fiermonte è il terzo di sette figli (il primo maschio) di Donato e Lucrezia Nanna, e cresce in una famiglia di lavoratori. I genitori, con la prole, a un certo punto decidono di lasciare il «paese azzurro» e di trasferirsi a Bari, precisamente al quartiere Carrassi, dove trovano impiego nella tenuta di un certo avvocato Armenise, in via Mirenghi, ora corso Benedetto Croce. Negli anni ‘20 il rione è decisamente periferia, costellata da oliveti, orti e frutteti di famiglie benestanti. E occorre affidare i poderi a famiglie di coloni o affittuari. In questo contesto cresce il futuro boxeur destinato a conquistare le platee britanniche e nordamericane, ma anche futuro attore di cinema e di teatro.
Tutta la famiglia poi si sposta nella capitale per poter meglio seguire la carriera del promettente pugile.
Illuminante per delineare un personaggio assolutamente originale come Fiermonte è il libro di Giovanni Memola «L’avventurosa vita di Enzo Fiermonte pugile attore» (edizioni dal Sud, 2016, 236 pagine, 15 euro). La ricerca attenta del 37enne autore accende meritatamente i riflettori su uno sportivo di talento - 56 match professionistici nella breve carriera (si ritirò a 26 anni nel 1934), di cui 43 vittorie, 10 sconfitte e 3 pareggi - ma anche su un interprete dotato e soprattutto un uomo che prendeva la vita a pugni e a «morsi», con coraggio e determinazione.
Fisico statuario dovuto alla moltiforme attività sportiva (si dedicò anche al tennis, ai cavalli e alle gare automobilistiche), spalle larghe e profilo greco che ricalcava vagamente quello del mito Rodolfo Valentino, Fiermonte, ufficialmente ancora sposato con la Manetti, approdò a New York dopo essersi conquistato fama e prime pagine in Europa. Proprio su una nave che lo riportava nel vecchio continente conobbe Madeleine Astor Dick, nata Force, di 15 anni più anziana, ricca vedova di John Jacob Astor IV, miliardario morto nel disastro del Titanic al quale lei invece era sopravvissuta. Si sposarono a novembre del 1933 e divorziarono cinque anni dopo. Lasciato ormai il ring, il peso medio diventa protagonista delle cronache mondane d’Oltreoceano e subisce persino un arresto per una infrazione stradale.
Nel 1939 ritorna in Italia e si dedica all’altra sua grande passione: il cinema. Lo vediamo protagonista in «Fra Diavolo», il biopic dedicato al brigante di età borbonica, diretto nel 1942 da Luigi Zampa.
Passa qualche anno e l’ambizioso casamassimese decide di realizzare in prima persona un film, da regista e attore protagonista. E di girarlo a Bari. Come regista si firma con uno pseudonimo anglofono, William Bird. La trama è vagamente autobiografica. Un pugile (interpretato dallo stesso Fiermonte, questa volta con il suo nome anagrafico), costretto a lasciare la boxe per un infortunio, diventa un debosciato e arriva persino a insidiare Luisa (l’attrice romana Marisa Vernati), casta fidanzata del fratello, anch’egli pugile (interpretato dal vero fratello minore Guido Fiermonte). Quando, vittima di un grave incidente, la ragazza ha bisogno di un costoso intervento chirurgico, egli si sostituisce con un sotterfugio al fratello in un impari incontro di boxe che gli costa la vita. Tra gli altri attori, Luigi Pavese (spalla storica di Totò) e Peppino Spadaro. Prodotto da Guido Marchigiani per la Monte Film di Bari e purtroppo mal distribuito, malgrado le buone interpretazioni il lungometraggio passò quasi inosservato sulla scena nazionale. Fiermonte non ripeté più l’esperienza di regista ma girò un centinaio di film da attore e grazie alla sua familiarità con i guantoni fu reclutato dalla produzione di «Rocco e i suoi fratelli» (1960) come personal trainer di Renato Salvatori, che nel capolavoro di Luchino Visconti intepreta il pugile Simone Parondi.
Veniamo quindi a «L’atleta di cristallo». «Benché avesse trascorso a Bari una parte importante della sua infanzia - scrive Memola nel suo volume -, il rapporto con la città pugliese nel corso degli anni era stato piuttosto freddo, quasi inesistente (...). All’indomani della liberazione di Roma, diversi artisti e intellettuali baresi gli aprirono le porte dei loro circoli e dei loro salotti. Gli chiesero di intervenire a un programma di Radio Bari, l’antenna che trasmetteva la voce dell’Italia libera, e anche di fare teatro. Enzo, che sembrava esser stato insignito della fascia onoraria di primo cittadino, ricambiò l’affetto. Tra il 1944 e il 1947 le sue visite a Bari diventarono più frequenti e sempre più lunghe». Andò in scena più volte al Piccinni.
Quindi l’idea del film, il primo (e l’unico) da regista. Sembra che inizialmente egli abbia pensato a un progetto insieme con l’amico Amedeo Trilli, anche lui cineasta. E «nel febbraio del 1946, in un locale barese, il Gatto Bianco, i due attori incontrarono alcuni produttori e potenziali investitori locali». Poi il progetto si sdoppiò in due lavori: «L’atleta di cristallo», appunto, e «L’amante del male» di Trilli, diretto da Roberto Bianchi Montero.
Sta di fatto che si annusava nell’aria una voglia di cinematografia, al punto che la Gazzetta del 13 giugno di quell’anno scriveva: «Molti sono naturalmente i progetti: dalla creazione di un teatro di posa, all’impianto di stabilimenti, al sorgere di case di moda e di una scuola di recitazione eccetera, e chissà che nell’anno 2000, per esempio, l’appassionato cronachista barese non segnerà, nelle sue registrazioni, all’anno 1946, l’inizio di una vera industria cinematografica barese».
Il film a quanto pare andò molto bene a Bari, decisamente meno nel resto del Paese: «L’anteprima nazionale - scrive ancora il biografo Giovanni Memola - si tenne il 31 marzo 1947 al Teatro Petruzzelli di Bari, a due giorni dalla “prima” de “L’amante del male” (sempre a Bari, al cinema Impero). I manifesti del Petruzzelli invitavano la gente ad entrare in sala, per riconoscere i luoghi che venivano mostrati e per riconoscere (e rinonoscersi) nei tanti “attori” che erano stati impiegati per la realizzazione di diverse scene».
La pellicola fu riprogrammata a Bari fino all’inizio degli anni Cinquanta, «ma nel resto d’Italia - continua Memola - restò pressoché invisibile. Il film, d’altronde, non si avvantaggiò mai di efficienti canali di distribuzione, e neppure poteva competere, povero di mezzi com’era, con le magnifiche pellicole americane che in quel periodo erano tornate a circolare in Italia. Restò, in ogni caso, un film memorabile. Un pioniere dei b-movie italiani del dopoguerra, se si vuole, per la sua natura derivativa e riciclativa e per il suo spirito da prodotto arrangiato, letteralmente “fatto in casa”».
Del resto, Fiermonte vinse il cine-derby tutto barese con «L’amante del male» di Trilli, staccandolo al botteghino di diversi milioni di lire.