Amarcord

«Mio padre Tommaso Maestrelli, un gentiluomo del calcio»: la semplicità la sua grandezza

GIOVANNI LONGO

A parlare Massimo, il figlio del mister che iniziò la carriera da giocatore nel Bari, poi allenò i biancorossi e il Foggia. «Mi sento barese doc». «Quelle partite a Rosa Marina con Chinaglia Oddi e Wilson»

C’è molto più di un «pizzico» di Puglia nello storico primo scudetto della Lazio conquistato mezzo secolo fa. Bari e Foggia sono squadre e città che ritornano spesso nello straordinario film biancoceleste celebrato proprio ieri a Roma per un compleanno molto speciale. Il regista di quella pellicola in bianco e nero si chiamava Tommaso Maestrelli, il mister che a Bari ha mosso i primi passi prima da calciatore, poi da allenatore. «Siamo baresi doc», rivendica oggi con orgoglio Massimo Maestrelli, 60 anni, figlio di Tommaso, professione broker assicurativo. Metà anni ‘30, «mio nonno Ruffo era un ferroviere trasferito dalla Toscana a Bari. Qui mio padre ha iniziato a giocare con i pulcini arrivando poi giovanissimo in prima squadra. A Bari ha conosciuto mia madre Lina e ha messo su famiglia. Io sono nato in una villa in corso Sicilia (per i più giovani oggi corso Alcide De Gasperi… ndr). Dopo due femmine, babbo voleva a tutti i costi un maschio. In quegli anni in cui non era possibile sapere in anteprima il sesso dei nascituri, immaginate la sorpresa quando di maschi ne sono arrivati due: mamma quel giorno ha partorito anche il mio gemello Maurizio che purtroppo, non c’è più come purtroppo non ci sono più nemmeno le mie sorelle Tiziana e Patrizia». Massimo, dunque, è l’unico a potere ricordare chi era suo padre (chiamato sempre «babbo») e quanto abbia dato al calcio. Prima, però, racconta con immenso affetto infanzia e adolescenza vissute a Bari dove i legami con gli amici con i quali è cresciuto ancora oggi non sono affatto sbiaditi.

Chinaglia a Rosa Marina - «Ci trasferimmo in centro in via Piccinni, una casa molto grande, ricordo le festività vissute nel grande salone insieme con i fratelli di mia madre, una famiglia molto numerosa la sua. Frequentavo il Preziosissimo Sangue, c’era suor Angela. Oggi viviamo a Roma, ma con mia moglie torniamo spesso in città. Quando in autostrada spunta il cartello “Puglia” abbasso il finestrino e scherzando le dico “senti che aria diversa si respira qui”… Al ritorno, la macchina è piena di focacce, burrate, olio di oliva, taralli, un rito!...».
Una scena che si ripete spesso perché Maestrelli è di casa a Rosa Marina. «I miei comprarono la villa nel 1973, sono legatissimo a quei luoghi, il mio sogno è andare a vivere li dopo la pensione, insieme agli amici di sempre. Le estati duravano da giugno a settembre e scorrevano serene tra windsurf e interminabili partite di calcio alle Arcate dove c’era un polveroso campo in sansa». In particolare le sfide dell’estate 1974 sono davvero indimenticabili perché la Lazio guidata da Tommaso Maestrelli aveva conquistato il suo primo storico scudetto. «In realtà ero troppo piccolo per intuire la portata di un’impresa che andava ben oltre lo sport, ma ricordo nitidamente babbo arbitrare le partite amichevoli tra noi ragazzini e quella volta in cui mio fratello ed io litigammo con lui perché, pur di non favorirci, fischiò un rigore contro all’ultimo minuto. E siccome, forse esagerammo, tutti e due a letto senza cena… A Rosa Marina quell’estate ospitammo Chinaglia, Wilson e Oddi protagonisti di quella squadra irripetibile. In 12 in villa, bellissimo. Noi bambini giocavamo in spiaggia con i campioni d’Italia e nei tornei all’ultimo sangue sudavamo ancora di più del normale perché indossavamo le maglie biancocelesti in lana sulle quali però era cucito lo scudetto celebrato ieri, 50 anni dopo. Stiamo girando un film sulla vita di babbo, uscirà ad ottobre. Tra le riprese, anche quelle sul lungomare e Bari vecchia, Rosa Marina. Qui, in spiaggia gli attori hanno riproposto la storica partita tra i campioni d’Italia del 1974 e dei ragazzini innamorati del calcio. Siamo legatissimi a questa terra, mi sento barese anche perché mio padre immaginava che il suo futuro sarebbe stato in Puglia non a Roma o in Toscana dove era nato. La Puglia era entrata nel sangue. Qui ha conosciuto mamma, si è sposato, ha avuto quattro figli (tre nati a Bari), ha iniziato la sua carriera».

Passione Bari  - Ecco perché, dopo la Lazio, per Massimo Maestrelli c’è anzitutto il Bari, ma anche Foggia e Reggina, città in cui suo padre ha lasciato ricordi importanti. Ed è curioso che per anni le tifoserie di Bari e Lazio siano state gemellate, mentre la fratellanza tra baresi e reggini è ancora solidissima. «Il primo risultato che cerco in tv o sullo smartphone è quello del Bari! L’anno scorso sono sprofondato come tutti i baresi per quei 30 secondi finali nella sfida promozione persa contro il Cagliari. Quanto all’oggi, nessuno si aspettava una stagione così negativa, una delle più brutte degli ultimi 20 anni. Temo che i problemi siano societari, c’è troppa confusione e manca un programma ben definito. Ho seguito con ansia l’ultima di campionato contro il Brescia. Ora ci aspetta la Ternana, sarà una finale playout durissima, vincerà chi riuscirà a tenere di più sul piano psicologico, ma alla retrocessione non ci voglio neanche pensare». Nulla a che fare con il Bari cui Maestrelli è legato di più. «Quello di Beppe Materazzi e non solo per ragioni affettive dal momento che mio fratello Maurizio aveva sposato Monia, figlia di Beppe. I miei amici a Roma mi prendevano in giro: “Ma come, anziché vedere la Lazio preferisci andare a Bari?”... Protti, Tovalieri, Joao Paolo, il trenino dopo un gol, una tifoseria meravigliosa. Che bello, ho ancora in mente il debutto di Bigica e Ventola».
Il 4-3-3 prima di Zeman Ma non c’è solo Bari in questa storia. La Puglia ritorna ancora sul rettangolo di gioco. La Lazio si laureò campione d’Italia battendo nell’ultima giornata il Foggia condannando alla retrocessione i rossoneri che Maestrelli aveva allenato nella sua carriera prima del salto a Roma. Insieme a lui, sulla sponda biancoceleste del Tevere arrivò anche Re Cecconi, un perno di quella squadra meravigliosa, scomparso tragicamente nel gennaio 1975, un mese dopo la morte di Tommaso Maestrelli costretto a un male incurabile quando aveva solo 54 anni. «La gioia per lo scudetto della Lazio, l’amarezza per averlo conquistato contro il Foggia che quel giorno retrocesse. Una “crudeltà” sportiva avere centrato un obiettivo così importante proprio contro una squadra a lui e a noi tutti così cara», ricorda Massimo. «All’epoca avevo 11 anni e non percepivo la portata dell’impresa, ero solo un bambino che qualche volta andava in ufficio con il babbo solo che il suo ufficio era un campo di calcio fosse Bari, Foggia, Reggio Calabria o Roma. Solo dopo abbiamo capito la sua grandezza celebrata nella magnifica giornata di ieri. Erano anni particolari, un periodo economico difficile, le battaglie per i diritti civili come il divorzio (si votò il referendum proprio il 12 maggio 1974), il terrorismo, un contesto sociale e politico molto particolare. Insomma, la vittoria della Lazio è andata molto oltre rispetto allo sport, anche per questo viene ricordata non solo da tifosi non laziali, ma persino da chi non segue il calcio». Anche perché, altra anomalia, quella allenata dal «pugliese» Maestrelli era una squadra che al suo interno non brillava certo per affiatamento. «Non era un gruppo compatto e unito, i giocatori quasi si detestavano per le forti personalità di ciascuno, ma tutto questo valeva solo fino a poco prima di entrare in campo la domenica. In quei 90’ diventavano tutti all’improvviso fratelli per poi tornare “nemici” dopo il triplice fischio. Una magia che durava il tempo di una partita, poi in settimana tornavano a “menarsi” e non sopportarsi. Tutto il contrario di quello che dovrebbe essere lo sport, ovvero unione e coesione, ma quella insolita alchimia funzionò». Il calciatore cui Maestrelli era più legato? «Giorgio Chinaglia che per un periodo visse a casa nostra, per babbo lui era come un figlio. Aveva capito che era il più esuberante e potente in campo, ma anche il più fragile fuori dal terreno di gioco. Mio padre ha contribuito a colmare la grande mancanza di affetto che Giorgio non aveva avuto, per me era un fratello maggiore».

Calciatore, allenatore, uomo - A 50 anni da quel trionfo anche un po’ pugliese, chi è stato dunque il Maestrelli calciatore, allenatore, uomo? «Da calciatore direi eclettico, iniziò da centravanti pur non avendo un fisico da corazziere (diremmo oggi un “falso nueve”), magro ma molto tecnico, si muoveva bene, poi finì da terzino passando dal centrocampo. Tutti i ruoli, mancava solo che si mettesse i guanti… Intelligente, mai cattivo. Arrivò in Nazionale con una presenza alle Olimpiadi di Londra del 1948. Da allenatore direi innovatore: in un calcio dove c’era il catenaccio o poco più, lui propose un approccio aggressivo fatto di corsa, offensivo. Di fatto, due soli uomini in difesa e tutti gli altri a spingere in avanti. Gli piaceva il bel gioco e di fatto inventò il 4-3-3 prima di Zeman, circostanza confermata di recente in un colloquio con Pirazzini, bandiera del Foggia. Quanto all’uomo, mio padre era una persona semplice e umile, trattava l’operaio alla stessa stregua di Agnelli quando andò a Torino per discutere il contratto con la Juventus, anche se poi l’approdo in bianconero sfumò. Per lui le differenze sociali tra le persone non contavano. Sapeva che faceva un lavoro privilegiato, era consapevole dell’importanza del suo salto triplo dalla provincia (Bari e Foggia) a Roma dove il rumore della piazza è molto più amplificato, e nonostante tutto questo era tranquillo. La sua grandezza era la semplicità». Tommaso Maestrelli, un gentiluomo del calcio.

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