Crisi
Caro gasolio, tutti fermi al porto di Barletta
Prosegue la protesta dei pescatori. Rallentati i rifornimenti ai camion. Alla marineria della città della Disfida si sono unite quelle di Trani, Bisceglie e Molfetta
BARLETTA - Non si arresta la protesta dei pescatori a Barletta. Sono fermi da oltre due settimane perché salpare è diventato un lusso insostenibile, lavorare è un affare che non possono più permettersi con il prezzo del gasolio a un euro e 20 centesimi, un prezzo alle stelle con le spese che superano di gran lunga i guadagni. Ieri alla marineria barlettana si sono unite quelle di Trani, Bisceglie e Molfetta e all’ingresso del porto sono arrivati ad essere una sessantina di operatori del settore, fra le 7 del mattino e le 16,30, gli orari in cui è aperta la dogana, per rallentare, in segno di protesta, l’ingresso al porto dei camion che si riforniscono di carburante. Per due giorni, ieri e lunedì, ne sono entrati uno ogni ora circa.
«I camionisti si sono dimostrati comprensivi e solidali – ha spiegato uno dei manifestanti, Carlo Sciascia – e non ci sono stati attriti né problemi». Ma quella degli autotrasportatori di carburanti, dicono i manifestanti, è stata l’unica categoria che ha mostrato comprensione e solidarietà. Il loro, ci tengono a sottolinearlo i pescatori, non è un blocco, perché quello sarebbe fuori legge. Semplicemente, in segno di protesta, lasciano entrare nel porto un camion alla volta per caricare carburante.
«Andremo avanti ad oltranza – aggiunge Sciascia - fino a quando non riceveranno risposte concrete». Che per loro vuol dire il tetto massimo del gasolio fissato a 50 centesimi e il fermo tecnico fino a settembre, per rifiatare in attesa di soluzioni più durature che consentano al settore di sopravvivere alla crisi energetica.
«La proposta del governo di risarcirci del 20% col prezzo del gasolio a 1,20 euro non è sostenibile”, spiega Sciascia. E alla domanda da dove arrivi il pesce attualmente in vendita risponde: “è importato e forse questo è quello che vuole lo Stato”. Uno Stato da cui non si sentono tutelati e peggio ancora dall’Unione Europea, per loro il luogo da cui arrivano soltanto “batoste».
«Quello che chiediamo – dice Sciascia - è di andare a lavorare, non vogliamo soldi non vogliamo nulla». Lui è fra i più giovani, e anche pochi, rimasti a fare questo mestiere in una città in cui, un tempo, questo era un settore trainante dell’economia locale. Ha 37 anni e fa questo lavoro da quando ne aveva 15 e fino ad ora non aveva mai pensato alla possibilità di dover fare altro per campare, «ma ora sì – dice - ci devo pensare per forza, per i miei figli e perché allo Stato i pescatori non interessano, anzi sembra fatto tutto per ostacolarci».
«Oltre a tutti i problemi che abbiamo, a bordo dovremmo avere un commercialista per le incombenze burocratiche che affibbiano», dice, riferendosi alla comunicazione elettronica tramite tablet su carico e scarico del pesce, numero di cassette di polistirolo e altro ancora. «E se sbagliamo – aggiunge – i verbali sono salatissimi».
Se le cose non prenderanno il verso giusto, spiega Carlo Sciascia, lui e i suoi coetanei «dobbiamo per forza trovare qualcosa da fare per crescere i nostri figli. Per i più anziani spero trovino soluzioni, magari la pensione anticipata visto che il nostro è un mestiere usurante». La sua speranza, però è un’altra, «che ci lascino continuare a lavorare».