Roma, Sud

Io, dai dischi del boss al Circo Massimo

Liborio Conca

Quando a Bari rinnovavo la mia discografia in via Sparano da 'Ricordi'. E Bruce a 73 anni ha energia da vendere

Per motivi squisitamente anagrafici non ho vissuto in presa diretta il Bruce Springsteen giovane e leggendario di Born to Run o Born in the USA, la prima del 1975, la seconda del 1984. Ho fatto però in tempo a intercettare lo Springsteen di un’altra fase, pure bellissima, intima e più matura, quella che va da The Ghost of Tom Joad(1995) a The Rising (2002), l’album della rinascita promessa dopo gli attentati dell’11 settembre. Nel mezzo, un live che ho visto, registrato – la videocassetta dev’essere ancora da qualche parte – e mandato a memoria, l’esibizione al Madison Square Garden di New York con la E Street Band.
Dalle mie parti i negozi di dischi scarseggiavano (meglio: non ce n’erano proprio), e così quando arrivavo alla fu benemerita «Ricordi» di via Sparano bisognava fare una piccola scorpacciata, e in quei blitz iniziai a recuperare piano la discografia del Boss. Ovviamente quel live newyorchese lo presi pure su cd.
Dovessi mettere giù una lista con i pezzi più intensi che abbia mai ascoltato, l’esecuzione di The River al Madison Square Garden non potrebbe rimanere fuori. Inizia con il sax di Clarence Clemons, soltanto lui nel buio della sala silenziosa, a intonare note struggenti e quasi sussurrate, prima che attacchino anche le tastiere, e poi l’armonica e ancora la voce di Springsteen. Dopo, in quel live, seguiva la festa di Out in the Street o Tenth Avenue Freeze-Out, con la banda a farla da padrone. Nel tempo, oltre a consumare la suddetta Vhs, ho letto svariate pagine (sul caro vecchio Mucchio Selvaggio, o nei libri di Gianluca Morozzi) e ascoltato decine di aneddoti sulla meraviglia di Springsteen dal vivo. Soltanto che non ci ero mai stato.
Già, perché si dà il caso che ogni tappa di Springsteen in Italia sia un evento atteso da migliaia di fan e così via, e non è che ci venga esattamente ogni anno, e io non sono il tipo che abbia voglia di refreshare i siti dei ticket online in quella mezz’ora prima che i biglietti vadano via.
Doveva capitare, e qualche domenica fa è capitato: un carissimo amico mi chiama a poche ore dal live al Circo Massimo – live al quale avevo cercato di imbucarmi last minute in svariati modi, accarezzando pure l’idea di entrare al Palatino, nascondermi dietro una qualche colonna romana e passare la notte clandestina, all’addiaccio – e l’offerta irrinunciabile e insperata è stata quella di un biglietto.

Ed eccomi lì. Nel catino del Circo Massimo, in una serata risparmiata da questo maggio di piogge continue. Circondato da fan italiani, inglesi, francesi, greci. Dalle parti del mixer c’erano Nick Cave, Sting, Lars Ulrich dei Metallica. È iniziato con My Love Will NotLetYou Down, la stessa canzone con cui cominciava quel live visto e rivisto su videocassetta. Bruce adesso ha 73 anni, ma l’energia e il carisma e la voglia di prendersi un’arena da 70mila spettatori sono quelle di sempre. Per tutta la prima ora la luce del tramonto ha illuminato ancora il Circo Massimo, e il fango sotto i piedi era come se non ci fosse. Difficile pensare una location migliore, circondata di storia, di verde, di meraviglia. Sul palco la E Street Band al completo, senza Danny Federici e Clarence Clemons, che ci hanno lasciato da tempo, ma con il figlio della spalla prediletta di Bruce, Jake Clemons, pure lui al sassofono, pure lui grande e grosso e perfettamente a suo agio con lo strumento e nelle occhiate d’intesa con il Boss tra una nota e l’altra.
Quella versione di The River, no, non l’hanno fatta. Si sapeva che non l’avrebbero fatta, perché le scalette girano, ma ci speravo. Jake avrebbe potuto intonarla, e Bruce seguire. E anche se so benissimo che è disponibile su YouTube, mi sa che cercherò quella Vhs registrata nel 2001, perché da qualche parte di sicuro c’è ancora.

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