Roma, Sud

Da un Achille all'altro Sanremo è sempre vivo

Liborio Conca

Lauro è cresciuto a casa dei nonni paterni di Gravina in Puglia, si è formato e vive nella Capitale

E così anche quest’anno il Festival è iniziato, laddove il Festival è Il Festival, l’unico e il solo, la rassegna della canzone italiana di Sanremo, un tempio che nei decenni si è ritagliato una centralità nazionale della quale con ogni probabilità Nunzio Filogamo e Nilla Pizzi (rispettivamente primo conduttore e prima vincitrice) non avevano neanche lontanamente idea. Ai tempi - era il gennaio del 1951, neanche sei anni dalla fine della guerra - lo show veniva celebrato al Casinò di Sanremo, e a fronte di venti canzoni complessive in gara i cantanti furono soltanto tre: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano. Nilla ebbe buon gioco, vincendo con Grazie dei fiori ma arrivando anche seconda (record? neanche per sogno: l’anno seguente arrivò prima, seconda e terza). Achille, oltre ad aver cantato con Nilla La luna si veste d’argento, arrivata seconda, si aggiudicò la terza piazza con Serenata a nessuno.
«Va serenata mia / stasera ad ascoltare / non c’è nessuno / ma lei dovunque sia / ricorderà i miei baci / ad uno ad uno», cantava Togliani, il bel canto, la voce vellutata, il piglio da attore-seduttore anni Cinquanta. «Sdraiato a terra come i Doors / Vestito bene, Michael Kors / Perdo la testa come Kevin / A ventisette come Amy / Rolls Royce, sì, come Marilyn Monroe», intonò qualche anno dopo - per l’esattezza sessantotto - un altro Achille, di cognome Lauro, che però poi sarebbe il nome, essendo Achille Lauro lo pseudonimo di Lauro De Marinis. Tutto è cambiato nei quasi settant’anni che separano le esibizioni sanremesi dei due Achille. Il bel canto all’italiana non è scomparso, e al Festival che nel frattempo ha traslocato da un pezzo all’Ariston è vivo e lotta insieme a noi; ma nel frattempo la musica popolare ha subito almeno cinque rivoluzioni. Il rock, la disco, il punk, l’hip hop, l’elettronica. Tutti elementi che il secondo Achille mastica a dovere nella sua musica eclettica e priva di barriere, come dimostra anche con il look e le pose, stravaganti, eccessive, glam.
Nato a Verona, ma con origini pugliesi - è cresciuto a casa dei nonni paterni di Gravina in Puglia («Ho bellissimi ricordi, dalla cucina al calore della gente, dalla cultura alla tradizione», ha raccontato di recente) - Lauro si è fatto le ossa come autore e performer nei club e nelle crew che ha bazzicato a Roma tra le zone Serpentara e Val Melaina, su tutte Quarto Blocco, dove militava anche il fratello maggiore, Federico «Fet». Hip hop, trap e poi il passo a un formato più pop, con la ripresa delle chitarre e di un immaginario tanto trasgressivo quanto vintage. Miscela di suoni ma anche di persone e collaboratori, in una visione collettivista dell’arte che è rimasta un tratto della sua poetica anche dopo il successo arrivato proprio a Sanremo.
RollsRoyce è stato uno dei momenti di rottura più evidenti negli ultimi anni sanremesi, come capita a volte quando sul palco arriva una carica inattesa e spesso fraintesa, sessualmente ambigua, distante dalla platea solitamente ingessata degli alti dirigenti Rai e dei politici liguri con l’abito della festa. Quella rottura, per dire, incarnata dal Vasco Rossi nei primi anni Ottanta con Vado al massimo e Vita spericolata, arrivato puntualmente in fondo alla classifica.
Lauro, dal canto suo, quest’anno sarà a Sanremo, anche se non all’Ariston e per di più in versione unplugged; e potrà gustarsi sul palcoscenico del Festival le esibizioni di quelli che se non sono ancora i suoi nipotini potrebbero essergli già figliocci.

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