Agil@mente

Ma l’amore vero esiste o è solo un contratto tra bisogni intimi e inconfessabili?

Emanuela Megli

Nel film Material Love diretto da Celine Song, appena uscito nelle sale del cinema, lei è una abbinatrice di coppie di un’agenzia di incontri a NewYork City. Un po' amica dei sogni e un po' psicologa, ma non di professione. Intercetta grazie al suo intuito e alla sua empatia, i bisogni profondi e le fragilità dei clienti che trasforma nella propria la missione combinandoli con delle anime gemelle, ovvero persone che presentano tratti, misure e interessi compatibili.

Diretta e sfrontata, sembra sapere molto di coppie, soprattutto di cosa nasconde il desiderio di amore: debellare la solitudine, morire in compagnia, avere qualcuno che ti seppellisca, qualcuno con cui condividere i successivi anni, quando non sarai autonomo e avrai bisogno di chi ti cambia il pannolone. Ma soprattutto, qualcuno con cui siglare un contratto, per migliorare la situazione economica e finanziaria, una sicurezza, che risponda al dovere introiettato di sposarsi e dare così senso alla propria esistenza. Qualcuno, in molti casi, che dia valore alla propria esistenza e alla propria vita, valore che difficilmente le protagoniste in cerca d’amore riescono a vedere e a darsi da sole.

La protagonista è la bellissima Dakota Jhonson, nei panni di Lucy Mason single, realista e disillusa fino al materialismo, la quale incappa anche lei in due tipi di amore: il primo John, una vecchia fiamma che riappare, sfigato, povero, alle prese con la ricerca di fiducia in sé stesso e di una ricetta per vivere e realizzarsi, proveniente da una famiglia difficile. Il secondo Harry, definito l’unicorno dalle impiegate dell’agenzia di incontri, perché perfetto esteticamente, ricco di famiglia e per professione - anch’essa ereditata, senza passione e senza sforzo-, elegante, attraente, affascinante e gentile, ma soprattutto senza vizi, difetti (apparenti) o personalità disturbata.

Presto si accorge che nel secondo amore qualcosa non funziona, anche se lui può darle tutto e vorrebbe sposarla, è un “contratto” a cui manca l’amore e questo è qualcosa che nessuna cifra può comprare. E lei sente di non poterne fare a meno. Così, ritorna dal suo primo amore, il partner povero, che non può darle nulla se non l’amore, che è una cosa semplice, che quando entra in testa -dice-, non si può fare altro che accettarlo.

L’amore, scopre Lucy, rappresenta una dote in sé: “so che ti amo e basta, è una cosa semplice”, le dice lui nell’ultimo dialogo, “e so solo che ti amo come prima, che ti amerò nei prossimi anni e che tu mi fai venire voglia di essere felice, ma non per te, per me e per noi.” Lei si era messa a nudo dichiarandosi materiale, giudicante, desiderosa di una vita agiata che lui non avrebbe potuto darle e per questo non amabile. Allo stesso modo lui, si era definito un povero fallito, che si era ridotto a lavori di stenti per seguire il sogno di fare l’attore senza avere il coraggio di percorrerlo fino in fondo e pertanto indegno dell’amore di lei. Forse sarà proprio questa la chiave della loro relazione, semplice come l’amore? La capacità di vedersi per ciò che sentivano di essere, esprimendo le proprie miserie e insicurezze e sapendo che non si sceglievano per colmarle attraverso beni e possibilità materiali, ma grazie alla potenza dell’amore che aveva risvegliato anche le loro persone individualmente, su cui costruire un “noi”. Lei, aveva scoperto, che non basta incastrare un elenco di misure, titoli, conti e tratti di personalità, poiché quando si ama, entrano in gioco le persone e queste non si possono produrre come fossero pezzi da assemblare e personalizzare, perché sono storie, intrecci intricati di sentimenti e significati che combaciano spesso perfettamente con altri. Se l’amore è incontro autentico, ognuno riflette e restituisce l’identità all’altro, insieme realizzano una relazione in alleanza per la vita, crescendo individualmente e costruendo la propria felicità.

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