Il filmato

San Nicola, un docufilm tramuta i marinai in assassini

Armando Fizzarotti

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Il documentario La croce e la spada offre un 'triplice omicidio' per 'rubare' le ossa del Santo e portarle a Bari

Triplice omicidio per «rubare» le ossa di San Nicola e portarle a Bari. In questi giorni che precedono la festa d'inverno (oggi 6 dicembre) di uno dei Santi più venerati al mondo, è questa la sanguinosa versione offerta della «Traslazione» delle reliquie del Santo da RaiStoria (rete del network di Stato diretta da Silvia Calandrelli), con il documentario «La Croce e la Spada», una coproduzione «RaiStoria / Ballandi Multimedia» (si può vedere a questo link). Verso la fine del documentario, dal 40° minuto in poi, la sceneggiatura proposta ai telespettatori mostra tre marinai baresi, che facevano parte della «squadra» dei 72 uomini inviati nella primavera 1087 ad impadronirsi delle spoglie a Myra (in Asia Minore, l'odierna località di Demre in Turchia), aggredire e pugnalare a morte tre monaci della chiesa nella quale le ossa del Santo (nato e vissuto lì dal 270 al 343) erano custodite da quasi sette secoli.

Più in particolare il filmato (realizzato da Mario Paloschi, scritto da Andrea Cedrola, con la regia di Emanuele Flangini e con la collaborazione di Apulia Film Commission) ci mostra i tre «commando» pugliesi uccidere i primi due monaci-custodi sull'altare, portare in ostaggio il terzo fin nel sepolcro, spaccare la tomba e ammazzare l'ultimo religioso mentre sono in fuga con la cassetta di legno nel quale avevano sistemato le ossa del Santo. Assassinio, violenza e sangue quindi sia per quanto riguarda il prelievo delle reliquie (conservate e venerate tutt'oggi nella Basilica di Bari Vecchia), sia la cassetta nella quale queste «sacre ossa» erano state riposte per trasportarle fino a Bari, macchiando così con la «bolla» di un omicidio premeditato un evento che a Bari viene celebrato ogni anno con la Sagra di Maggio, Sagra nel corso della quale anche la cassetta di legno viene portata in processione.

Ma le cose andarono davvero così? È storicamente accertato che l'«impresa» venne decisa all'inizio del «basso Medioevo» dalle autorità locali baresi sia per motivi religiosi (l'Asia Minore era terra sempre più sotto il controllo delle truppe musulmante) sia politico-economico, per riscattarsi da una decadenza iniziata con la conquista normanna. Ma finora ci si era spinti a tramandare la storia della «Traslazione» al massimo come un «Sacro Furto», ma mai finora come una «Sacra rapina» con spargimento di sangue. È stata questa una variazione sul tema, una «licenza poetica»? Risponde al quesito padre Gerardo Cioffari, storico e studioso della Comunità dei Frati Domenicani che governano la Basilica di Bari Vecchia. «Se nel filmato fanno uccidere i monaci è qualcosa di più di una licenza poetica. È un grave errore». «È vero - prosegue padre Cioffari - che quando i baresi non riescono a convincere i monaci locali con le buone e neppure col denaro si crea una situazione di tensione.

La situazione precipita quando uno dei monaci tenta di raggiungere l'uscita per correre a Myra ad avvertire i cittadini di quanto stava avvenendo (la città si trova a circa un chilometro oltre la chiesa, rispetto al mare da dove erano giunti i baresi). Il giovane Matteo (uno dei marinai baresi – n.d.r.) aiutato da un compagno francese di nome Alessandro blocca il monaco con la spada alla gola. Ma a quel punto interviene il monaco più anziano e calma sia il monaco intraprendente sia Matteo, indicando la lastra sul pavimento che ricopriva il sarcofago. Il racconto russo esagera l'armonia trovata, narrando che due monaci addirittura accompagnarono le reliquie fino a Bari. In realtà la tensione non si calmò del tutto, in quanto il monaco minacciato, mentre i baresi portavano sollecitamente le reliquie al porto, corse in città e molti miresi accorsero al porto tentando di fermare le navi. Ma i baresi, dopo qualche discussione su quale nave doveva portare le ossa di San Nicola, erano riusciti saggiamente a decidere che fosse la nave di Matteo. Per cui fecero in tempo a levare le ancore e prendere il largo. Tutto questo è ben documentato sia da Niceforo che da Giovanni Arcidiacono e dall'Anonimo francese».

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