Tour del gusto

Scoprire New York con la guida di Piero Armenti, metà campano-metà pugliese

Barbara Politi

A Piero Armenti, fondatore de «Il Mio Viaggio a New York», la prima agenzia turistica italiana nella Grande Mela, piace definirsi un «urban explorer»

Se glielo avessero raccontato dieci anni prima, forse non ci avrebbe scommesso un dollaro. A Piero Armenti, fondatore de «Il Mio Viaggio a New York», la prima agenzia turistica italiana nella Grande Mela, piace definirsi un «urban explorer». In realtà, è molto di più: affermato imprenditore, giornalista professionista, scrittore e influencer. La sede fisica di quello che è diventato un vero e proprio impero con fatturati da capogiro è a Times Square, cuore pulsante di Manhattan. Il tour operator italiano “numero uno” a New York, già da diversi anni, lavora con un macro-obiettivo: far conoscere ai connazionali la vera anima di questa metropoli. La storia di Piero, quella insomma che precede il milionario progetto aziendale, è la storia di tanti e sembra la trama di un film.

Anzi, di uno show, visto che ci ha pensato Mediaset Infinity a raccontarla così: dal 18 settembre “Il Mio Viaggio a New York” sarà in onda sulle reti nazionali con i suoi retroscena e le tante curiosità. Dietro la pagina Facebook da due milioni di followers (un altro milione di seguaci tra Instagram e YouTube) e le centinaia di migliaia di visualizzazioni, c’è un ragazzo del Sud che dieci anni fa ha cambiato la sua vita accettando la proposta di uno stage non retribuito nella città delle opportunità. Nato ad Avellino nel 1979 e cresciuto a Salerno, Piero Armenti ha un’anima per metà campana e per metà pugliese: con il papà di Triggiano, piccolo comune della provincia barese, e la casa di famiglia in Puglia, il seguitissimo blogger ha sempre mantenuto un forte legame con questa terra. L’esploratore urbano arriva nella Grande Mela nel 2011, dopo diverse esperienze all’estero, tra Venezuela e America Latina. Ne resta folgorato. È lo switch della sua esistenza che lo porta, nonostante una laurea in Giurisprudenza e un dottorato in Cultura dei Paesi di lingue iberiche all’Università Orientale di Napoli, a tentare la sorte oltreoceano. La mancata realizzazione in Italia, la voglia di riscatto e l’innata simpatia trasmessa attraverso i social (sono gli anni di lancio di Facebook) fanno il resto. Senza più voltarsi indietro, l’influencer fonda nel 2014 la sua agenzia, grazie al superamento di un difficile concorso per l’ottenimento della licenza turistica.

Nasce il portale www.ilmioviaggioanewyork.com, attraverso cui è possibile per gli italiani prenotare tour, biglietti, osservatori e qualsiasi attrazione in città. Particolare attenzione viene rivolta ai viaggi di gruppo e ai tour: fra i più venduti, quello dei Rooftop, quello del Bronx, Queens e Brooklyn, ma anche il giro in elicottero e le escursioni fuori porta alle Cascate del Niagara. Tutto a un prezzo assolutamente accessibile. È l’inizio del successo del tour operator “Il Mio Viaggio a New York”, che apre la sua sede fisica a Time Square, il luogo più iconico della città, il centro commerciale a cielo aperto più famoso al mondo. Il resto è storia. Grazie alla sua popolarità, Piero Armenti è per gli italiani un riferimento assoluto a New York.

«I panzerotti di mia zia piatto indimenticabile»

Il racconto dell’innovativo tour operator con il padre di Triggiano

Quando è arrivato nel caffè francese dove avevamo appuntamento, la prima impressione che ho avuto è stata quella di trovarmi davanti un mattatore naturale con quell’aria da sognatore che mette tutti d’accordo. Una sensazione che Piero Armenti mi ha confermato, alla fine del nostro incontro, quando gli ho lanciato la sfida di improvvisare uno dei suoi video-passeggiata girati con l’IPhone per le strade di Manhattan: a comunicare s’impara, ma saper entrare nel cuore della gente è un talento. Mettici poi che protagonista dei suoi racconti “on the road” è una fra le città più amate al mondo e il gioco è fatto.

Da uno stage «non retribuito nella Grande Mela, dieci anni fa, al grande successo de «Il Mio Viaggio a New York».

Quanto è importante saper leggere le opportunità e avere una visione?

«Prima di accettare lo stage “non retribuito” (avevo messo in conto di vivere di risparmi per i primi tempi), mi sono chiesto cosa avrei guadagnato davvero da questa esperienza, non a livello di guadagni, ma di contatti e idee, di scambi professionali. Sì, bisogna saper guardare oltre: ho fatto bene ad accettare perché dopo soli due mesi ho ricevuto una vera offerta di lavoro con uno stipendio e il visto. Le occasioni migliori non sempre sono economiche».

Che idea avevi di NYC prima di trasferirti?

«New York è una città caotica e in questo caos noi italiani ci sguazziamo, ci sentiamo liberi, di una libertà che probabilmente non respiriamo nelle nostre città, dove non usciremmo mai in pigiama per buttare la spazzatura. Ecco, io ho respirato questa libertà. Ho capito che italiani amano questa metropoli più di quanto la amino gli stessi americani per questa ragione. Gli americani si sentono bene in una dimensione fatta di grandi case col giardino, con il campetto da basket e una vita tranquilla. Noi italiani, invece, adoriamo la confusione».

Diresti che “Il Mio Viaggio a New York” coincide con il viaggio della tua vita?

«Beh, sì. Ho avuto l’onore e la fortuna di raccontare questa città attraverso gli strumenti digitali che avevo a disposizione. Una delle più grandi ambizioni per chi scrive è quella di poter raccontare ciò che vede, nel mio caso l’America. Quello di New York è assolutamente anche il viaggio della mia vita, quello che mi ha poi dato da vivere».

A un certo punto i video destinati agli amici in Italia, girati per le strade di Manhattan, si sono trasformati in qualcosa di più grande.

«All’inizio pubblicavo su Facebook le foto della città con le descrizioni: la gente era impazzita, mi chiedeva di tutto, consigli di vita e di viaggio, suggerimenti sugli hotel da prenotare, i ristoranti in cui andare. È nata così l’idea del tour operator, per soddisfare una esigenza di mercato».

Quanto hanno inciso in questo successo l’esperienza nella comunicazione e il tuo carattere genuino?

«Ho aperto la pagina Facebook nel 2014, ero già giornalista professionista dal 2006. Masticavo da anni la grammatica della comunicazione e questo di certo mi ha aiutato. Non avevo però esperienze legate ai video, che hanno di fatto decretato il grande successo del format. Attraverso i video sono diventato familiare, ho stabilito un rapporto empatico con il mio pubblico. Ed è stato importante anche dal punto di vista degli affari, perché uno dei grandi obiettivi di chi fa business è proprio quello di creare un rapporto di fiducia con la clientela».

A proposito di business, parliamo dei numeri importanti della tua agenzia.

«Per “Il Mio Viaggio a New York” lavorano una cinquantina di dipendenti. E ci sono anche nuovi progetti all’orizzonte. Da poco è nato “Travel morbido”, un’agenzia dedicata interamente a viaggi di gruppo e personalizzati; a breve verrà alla luce www.ilmioviaggio.com, dove sarà possibile prenotare le vacanze in tutto il mondo. Ci stiamo allargando molto, vero, ma la mia passione più grande resta quella di fare l’urban explorer, cioè raccontare le metropoli».

E dopo New York, quale racconteresti?

«Tre metropoli che secondo me potrebbero suscitare la curiosità della gente: Tokio, che rappresenta un mondo a sé, Dubai e Parigi, che mi appassionano tanto».

Il 18 settembre debutti su Mediaset Infinity. T’interessa la tv?

«La mia grande sfida era trasformare un format di Facebook in uno show televisivo, perché chiaramente le regole sono diverse. Affiancato da professionisti di altissimo livello, ci sono riuscito. Il programma è divertente, si parla del mio progetto ma più in generale del sogno americano. Sarà la storia delle vicissitudini di una coppia di italiani che arriva a New York».

Parliamo di cibo, lo strumento più efficace con cui hai raccontato questa città.

«La bellezza di New York sta nel fatto che ospita tutte le cucine del mondo ad un livello alto, quasi simile a quello originario. Certo, magari non troveremo la cucina italiana perfetta, ma gli standard sono sempre molto alti. “Il mio Viaggio a New York” è anche un viaggio culinario: per conoscere questa città, invece dell’hamburger che ormai è ovunque, assaggiate il pastrami d’origine ebraica, iconico della cultura newyorkese; oppure il lobster, molto americano, buonissimo nel panino o cotto al vapore. In America sono mangiatori seriali di pollo! Lo troverete anche nella pasta. E di uova, ne mangiano in quantità impressionanti. Il cibo è una buona maniera per fare grandi viaggi».

I tuoi tre piatti preferiti?

«Uno è americano: la portehouse, un taglio di carne fantastico accompagnato dalla crema di spinaci. Poi c’è l’Italia, anzi il Sud, con la pizza napoletana e i panzerotti che mi preparava la mia zia pugliese».

Cosa devono scoprire ancora gli italiani della Grande Mela?

«Tutto ciò che c’è intorno, ad appena venti minuti di treno o di auto: lì dove i grattacieli lasciano il passo alla natura incontaminata, meravigliosa, quella dei laghi e dei paesini sulle rive dell’Hudson».

Sogni nel cassetto?

«Un cassetto che ho già iniziato ad aprire: con alcuni soci, importanti imprenditori nel settore food, sto lavorando all’idea di aprire una bakery americana a Milano. A ottobre, a Napoli, prenderà il via il master dedicato ai social media che ho promosso con la collaborazione di autorevoli docenti della Federico II. È il mio modo di essere utile alle nuove generazioni, studiando una mappa del mondo che cambia, consapevoli che ciò che è stato è lezione e ciò che sarà può essere immaginato».

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