L'approfondimento
«Marketing, non politica: adesso aspettiamo i fatti»
Paolo Marchi: «Percorso interessante ma non privo di rischi»
Giornalista professionista dal 1982, ideatore e curatore di “Identità Golose”, il primo congresso italiano di cucina e pasticceria d’autore che da ben diciassette anni accoglie sul palco di Milano i più grandi professionisti della ristorazione italiana e del mondo, Paolo Marchi ha dato vita ad un appuntamento divenuto irrinunciabile per tutti gli attori della gastronomia, della cultura alimentare e dell’ospitalità.
Dal 2005 il congresso milanese - padre di ogni avvenimento successivo a Londra, New York, Chicago, Los Angeles e Shanghai - è cresciuto in termini di dimensioni e importanza, tanto da aggregare nel progetto anche un hub internazionale della gastronomia, una guida ai migliori ristoranti e un magazine italiano di cucina internazionale.
Profondo conoscitore delle produzioni eccellenti della gastronomia italiana (delle quali è un autentico ambasciatore), Marchi ha le idee chiare sulla neo-dizione di sovranità alimentare scelta dal governo Meloni, «la stessa del ministero francese, e i francesi sono maestri del marketing, ma in Italia viene stranamente interpretata in riferimento alla collocazione politica».
Non di certo una novità assoluta, «basti pensare che Slow Food parla di cibo sovrano e di presìdi del gusto già da tempo, nell’intento comune di legare le produzioni al territorio in cui nascono».
Tanto clamore per niente, secondo il critico gastronomico, più interessato agli obiettivi concreti del ministero guidato da Lollobrigida: «Ci interessa sapere in cosa si traduce questa terminologia, se in protezionismo o nella spinta finanziaria di certi prodotti sigillati come italiani a scapito di altri, ad esempio. L’Italia è un paese capace di fare propri ingredienti forestieri grazie al suo ingegno; pensiamo al caffè che nasce in Etiopia, al pomodoro su cui si basa tutta la cucina italiana ma che nostro non è, al kiwi di cui siamo diventati grandi produttori più della Nuova Zelanda. La pizza è italiana, ma non il pomodoro. L’espresso è italiano, ma non il chicco di caffè. In futuro potremmo decidere di diventare produttori di ananas, visto il riscaldamento climatico, così come stiamo facendo con il mango, l’avocado e così via. Fra vent’anni non ci ricorderemmo nemmeno più l’origine di questi alimenti, così come per le banane. Insomma, quello della sovranità potrebbe diventare un percorso “sdrucciolevole e pericoloso” se non guardato con attenzione, forse anche un boomerang verso noi stessi».
Tradotto nella pratica, Paolo Marchi si chiede dunque cosa si intende davvero per sovranità alimentare: «Lo slogan a me sta bene se significa privilegiare l’economia nazionale e le importazioni di alta qualità, senza che ci sia la retorica utile solo a sventolare il tricolore –; ha spiegato il patron di Identità – frenare la creatività italiana potrebbe avere conseguenze negative».
Un concetto ancora troppo vago e che «quindi si presta troppo alle battute e alle polemiche, in attesa del vero auspicio per tutti noi: che si guardi al concreto dimenticandosi dei colori politici» conclude, aspettando i fatti.