I nodi dell'acciaio
«Un altro Natale senza soldi: così non si può continuare»: la rabbia degli operai ex Ilva
Parla il dipendente Fabio Cocco: «Meritiamo risposte precise sul nostro futuro»
«Provo angoscia»: Fabio Cocco, dipendente di Acciaierie d’Italia esprime così il proprio stato d’animo, a poche ore dal confronto romano nel corso del quale il Governo ha prospettato un piano di decarbonizzazione in quattro anni, piano che prevede dal 15 novembre a fine dicembre un aumento delle unità lavorative in cassa integrazione da 4.550 a 5.700, per arrivare a 6.000 a partire dal 1° gennaio con la fermata delle batterie.
Dunque angoscia, ma anche rabbia e senso di impotenza quando manca poco più di un mese al Natale e quello che si prospetta per gli operai non è certo il migliore dei periodi. Un film già visto: quello che trapela chiaramente dalle parole del lavoratore è davvero il timore di essere ai titoli di coda. La preoccupazione deriva dal taglio sulla retribuzione che gli operai si aspettano di percepire il prossimo anno (fino a 400 euro mensili in meno) ma anche e soprattutto dalla paura che non si tratti di una fase transitoria. «Già prima avevamo difficoltà ad arrivare a fine mese. Immagino quello che accadrà ora. E non è la prima volta che, a poca distanza dal periodo delle feste natalizie, che dovrebbe essere un momento di serenità, ci troviamo a fare i conti con una grandissima incertezza in vista del futuro».
È chiaro che una tale situazione può destabilizzare gli equilibri familiari, certamente da rimodulare sulla base dei cambiamenti: «Bisogna avere un carattere forte e tenere i nervi saldi, perché queste notizie possono far andare fuori di testa. Io cerco di non farmi prendere dallo sconforto che può far fare passi falsi». Fabio Cocco pensa però a chi questa condizione la vive da molto tempo: «Ci sono alcuni colleghi che conosco bene e che operano in determinati reparti, che vivono la condizione di cassintegrati ormai da dieci anni. Oggi è coinvolta la quasi totalità dei dipendenti del gruppi». Intanto è tangibile e intensa la sensazione di esser stati beffati: «Il quadro che ci stanno illustrando è l’ennesima dimostrazione del fatto che non serve dare fiducia e sperare che possa essere la volta buona, e che le parole possano avere un seguito concreto con i fatti. Le cose sono piuttosto chiare: semplicemente il ministro Urso ha preso in giro gli operai, come hanno fatto gli altri Governi. Da due anni fa promesse e poi le smentisce. Aveva preannunciato questo piano come un passo in avanti con potenziali acquirenti e oggi ci troviamo a discutere di altra cassa integrazione. Non sappiamo che fine abbiano fatto i progetti di cui il ministro ha parlato diverse volte, così come la volontà di rimettere in piedi lo stabilimento, di rinnovare gli impianti, di decarbonizzare davvero. È ormai evidente che non c’è un’idea di ripartenza e che l’unico interesse è quello di risparmiare risorse. Di fronte a tutte queste contraddizioni e di fronte alle ultime notizie, mi verrebbe da dire che possono ormai chiudere questa fabbrica, ma non prima di aver dato risposte a noi lavoratori e alle nostre famiglie».