Il caso
Droga a fiumi sull’asse Ginosa-Bologna: in 21 rischiano di finire sotto processo
Inchiesta della Dda culminata in 13 misure cautelari, di cui 11 in carcere e 2 ai domiciliari
Sono 21 le persone che rischiano di finire a processo per il loro coinvolgimento nell’inchiesta della Dda di Lecce su un’associazione dedita al traffico e allo smercio di droga sull’asse Ginosa-Bologna e un caporale che reclutava i lavoratori nei campi. Un’indagine culminata alcuni mesi fa in 13 misure cautelari di cui 11 in carcere e 2 ai domiciliari. È stato il pm dell’Antimafia Milto De Nozza a chiedere nei confronti degli imputati – assistiti tra altri dagli avvocati Maria Bongermino, Francesco Caprioli, Arcangelo Divitofrancesco Luigi Esposito, Marino Galeandro, Leonardo Pugliese e Cristiano Rizzi – il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare è fissata nei prossimi mesi dinanzi al giudice Maria Francesca Mariano di Lecce.
In carcere erano finiti Antonio Bitritto, 32enne di Grumo Appula nel Barese, il 55enne di Specchia nel Leccese Donato Branca, il 45enne barese Bartolomeo Carone, il 36enne di Castellaneta Francesco Covella, il 33enne barese Eugenio Damiano Giuliani, il 30enne di Castellaneta Rosario Madio, il 22enne di Laterza Alessio Matarrese, il 60enne anch’egli laertino Mario Matera, il 41enne di Grumo Appula Sabino Pace detto “Bino” il 47enne tarantino Giuseppe Renna e infine il 26enne di Castellaneta Gianfranco Roberto. Mentre i domiciliari erano scattati nei confronti del 38enne originario di Pompei, ma residente a Ginosa, Sabatino Albano e per la 43enne di Castellaneta Patrizia Mangialardo.
Sono dieci gli imputati accusati del reato associativo e tra questi Albano, Bitritto, Branca, Carone, Covella, Madio, Patrizia Mangialardo, Matarrese, Pace e Renna. Quest’ultimo, ritenuto al vertice del gruppo, era riuscito a fuggire attraverso una botola nascosta nella sua casa facendo perdere le proprie tracce per due giorni, fino all’arresto dei carabinieri.
Per l’accusa il gruppo che gestiva il traffico e lo spaccio di marijuana, eroina, hashish e cocaina a Ginosa era guidato proprio da Renna e da Branca che si approvvigionavano di stupefacenti destinandoli alle piazze di Ginosa, Montescaglioso nel Materano e persino a Molinella nel Bolognese.
Di “caporalato”, invece risponde il solo Branca: un’accusa contestata in fase di indagine anche a Nunzio Divitofrancesco e ora invece archiviata. Per gli inquirenti, sarebbe stato il solo Branca a reclutare numerosi lavoratori stranieri sfruttati con paghe al di sotto di quanto previsto dalla legge.
I braccianti agricoli, secondo gli investigatori, venivano prelevati da alcuni comuni del Tarantino e “piazzati” nei terreni di diversi imprenditori, lavorando spesso in nero per molte ore al giorno. Paga in molti casi «compensata con forniture di droga precedentemente effettuate dai lavoratori sfruttati». Per il pm De Nozza, Branca svolgeva una vera attività imprenditoriale che «pescando in queste sacche di disperazione» si serviva del passaparola tra stranieri in stato di bisogno per ampliare il giro della manodopera.