i nodi dell'acciaio
Nel futuro di Ilva e Taranto l'obiettivo è «uscire dalla monocoltura dell’acciaio»
Nuovi vertici per Dri d’Italia dopo l’annullamento della gara. L’intesa prevede un nuovo commissario, per la reindustrializzazione delle aree libere dello stabilimento, che ha una superficie enorme.
ROMA - Obiettivo «uscire dalla monocoltura dell’acciaio». È questa una delle sfide che attendono Taranto e l'Ilva del futuro dopo l’intesa preliminare raggiunta ieri dal governo con gli enti territoriali. I 18mila lavoratori che gravitano attorno all’acciaieria dovranno trovare collocazione in «un’ampia ricostruzione dell’economia e della vita della città stessa», ha spiegato il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano.
L’intesa prevede un nuovo commissario, nominato per occuparsi della reindustrializzazione delle aree libere dello stabilimento, che ha una superficie enorme. Si estende su 15 milioni di metri quadrati, il doppio della città di Taranto. Lo sguardo va anche al di là della siderurgia, ma «tenendo presente il principio della valorizzazione dell’indotto». Un bando per manifestazione di interesse sonderà nuovi possibili investimenti produttivi nell’area.
La tutela occupazionale è stata posta come «principio inderogabile», a fianco dell’obbligo vincolante alla piena decarbonizzazione, nel nuovo bando per trovare un acquirente per il gruppo Adi in amministrazione straordinaria, pubblicato il 6 agosto. Tuttavia la produzione con i forni elettrici richiede meno personale di quella tradizionale a carbone e sarà necessaria una strategia a tutela dei lavoratori.
Gli esuberi potrebbero essere, in parte, compensati dalla costruzione del polo Dri per il preridotto, necessario ad alimentare i nuovi forni, ma non è ancora stato deciso se sarà realizzato a Taranto. In assenza del Polo Dri, secondo le stime della Fim Cisl, sarebbero a rischio oltre 7mila posti di lavoro.
Il verdetto è rimandata a dopo 15 settembre, quando è fissato il termine per la presentazione di offerte vincolanti da parte dei possibili investitori. A quel punto, una nuova riunione valuterà se è possibile realizzare il progetto principale prospettato dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, con tre forni elettrici, quattro impianti dri e altrettanti impianti per la cattura e lo stoccaggio della CO2 a Taranto, anche senza la nave rigassificatrice a cui si oppone il sindaco Piero Bitetti.
Una nuova ipotesi avanzata dal Comune - che potrebbe interessare, secondo quanto si apprende da fonti vicine al dossier, investitori come il gruppo indiano Jindal - prevede a Taranto tre forni elettrici e un solo impianto Dri. Mentre l'opzione secondaria di Urso si limita ai tre forni elettrici a Taranto. Per il polo Dri ci sarebbe l’ipotesi di Gioia Tauro.
Sempre Jindal potrebbe essere disponibile a rilevare solo gli impianti del Mezzogiorno, nell’ipotesi di una vendita separata di quelli del Sud da quelli del Nord. Nella gara - sottolineano fonti del governo - sarà preferita comunque l’offerta migliore in termini occupazionali e produttivi per tutti gli stabilimenti, che siano ceduti insieme o separatamente.
L’ultimo tavolo al Mimit ha segnato un cambio di rotta anche nella gestione della società Dri d’Italia, controllata al 100% da Invitalia, nata per realizzare impianti di produzione di preridotto e finanziata con un miliardo di risorse pubbliche, inizialmente del Pnrr, poi spostate ai fondi di sviluppo e coesione. Hanno partecipato ai lavori nuovi vertici della società: il presidente Cesare Pozzi e l’amministratore delegato Ferruccio Ferranti, nominati dopo l’annullamento, da parte del Consiglio di Stato, della gara per l’impianto Dri di Taranto, che avrebbe dovuto essere alimentato a idrogeno.