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A Taranto la festa di San Cataldo, oggi «u pregge»: il rito, la storia e le leggende
Nel pomeriggio la consegna della statua e processione a mare
È il giorno de «u pregge», il pregio, l'onore che la chiesa tarantina conceda al Comune donande per tre giorni la statua di San Cataldo per consentire la celebrazione dei festeggiamenti del patrono di Taranto. Un rito antico che precede la processione a mare e il passaggio nel canale navigabile dove una cascata di fuochi pirotecnici dal castello aragonese saluta il passaggio del simulacro. Una giornata sentita dai fedeli, ma non solo: i tarantini amanti della storia locali, non solo credenti, si riversano nelle strade per vivere appieno la tradizione che si rinnova.
Un giorno nel quale, nel corso dei secoli, si sono mischiati storie e leggende. Tra queste ultime legate alla figura di San Cataldo, alcune sono andate completamente perse, altre invece sopravvivono. Come quella legata al lancio dell’anello nel mar piccolo in tempesta: un gesto che secondo la tradizione cattolica non solo placò il mare in burrasca, ma diede vita al «citro» quella sorgente di acqua dolce che rende il mar piccolo così speciale. Una miscela unica di acqua dolce e salata che rende le cozze uniche al mondo. Oppure quella legata alla scomparsa di una statua del santo durante una pestilenza: secondo la storia popolare il santo avrebbe addirittura lasciato un messaggio annunciando di «ricomparire» solo quando i tarantini avessero deciso di riaprire le porte della città ai forestieri. E così avvenne: la statua fu miracolosamente e quindi inspiegabilmente ritrovata – come racconta in una sua opera teatrale Giovanni Guarino – in un pozzo di Palazzo Troilo, situato proprio accanto alla cattedrale e san Cataldo divenne ufficialmente «amante dei forestieri». Anche il meteo non fa eccezione: un detto ricorda che «a san catavete se ne ve u fridde e trase u cavete» cioè nel giorno di San Cataldo, va via il freddo per fare posto al caldo.
Alcune invece sono andate completamente perdute oppure ne restano solo piccoli pezzi. Come la leggenda secondo la quale era il santo patrono a decidere se uscire o meno in processione durante i festeggiamenti di maggio: una sorta di «miracolo di san Gennaro» in salsa ionica. Sono ormai pochissimi gli anziani che ne parlano. Raccontano della vecchia statua di san Cataldo, quella rubata una notte di dicembre del 1983, che «si piombava» intendendo dire che diventava pesante come il piombo e quindi impossibile sollevarla. A n nulla servivano i tentativi dei confratelli con la mozzetta rossa: la statua posata sul suo basamento era inamovibile. I pochi «cataldiani» che hanno raccolto questi frammenti leggendari in alcuni casi discordano sulle conseguenze. Secondo alcuni, infatti, la processione del Santo era annullata e per l’intera comunità ionica era un pessimo auspicio per la città di Taranto. Secondo altri, invece, la benevolenza di san Cataldo alla fine trionfava, ma non prima di un piccolo rito popolare. I confratelli portatori della statua, infatti, dovevano rivolgere una domanda al simulacro: «Jesse Catavese u’ russe?». In dialetto, quindi, i portatori si rivolgevano al Santo dai capelli rossi, evidentemente rifacendosi ai tratti somatici tipici degli irlandesi, per invitarlo a tornare tra la sua gente. Un appello, un invito. Solo così la statua sembrava tornare al peso normale permettendo ai confratelli di posizionare la statua sulle spalle e tornare fra iu vicoli dell’isola per permettere ai tarantini di riabbracciare il loro patrono.