Il caso
Dopo la vincita milionaria investimenti spericolati «Non fu colpa della banca» la sentenza
Il giudice archivia la denuncia di una coppia una schedina da 22 milioni
TARANTO - «Il fatto che un soggetto non abbia particolare esperienza in campo economico-finanziario non può essere ritenuto, di per sé solo, sintomo di una vera e propria deficienza psichica».
È quanto ha scritto il giudice Francesco Maccagnano nel provvedimento con il quale ha archiviato la denuncia per circonvenzione di incapace presentata da una coppia di coniugi tarantini che, dopo una vincita milionaria al Superenalotto del 2004, hanno compiuto una serie di operazioni finanziarie e poi accusato i vertici di un istituto bancario per le perdite economiche.
I due tarantini, in possesso della licenza elementare, hanno sostenuto che la banca avrebbe fatto firmare una serie di investimenti ad alto rischio che, vista la loro minima competenza in materia, non erano stati in grado di comprendere: questo avrebbe generato negli anni una perdita di diversi milioni di euro.
Tutto comincia, come detto, nel 2004 quando la famiglia vince al Superenalotto la bella cifra di 22 milioni di euro. I due tarantini decidono di cambiare vita: addio al lavoro umile fatto per una vita, dono di un milione di euro a ciascuno dei figli, acquisto di un’attività commerciale e anche la costruzione di una palazzina a Taranto. Tutto procede senza intoppi fino a quando, con il cambio del consulente in banca, si cominciano a verificare, secondo i denuncianti, delle anomalie: il nuovo consulente prelevava per conto dei coniugi delle somme e le consegnava personalmente facendo firmare le distinte, ma soprattutto negli anni sono stati aperti e chiusi alcuni finanziamenti che hanno generato un’ingente situazione debitoria.
Le indagini condotte dalla procura, però, hanno evidenziato una situazione ben diversa: gli investimenti che erano stati consigliati «non hanno generato effetti giuridici dannosi e hanno tenuto conto dei profili di rischio emergenti dai questionari sottoposti ai denuncianti e della relativa adeguatezza». Una tesi su cui ha concordato anche il giudice Maccagnano che, accogliendo anche quanto sostenuto dai difensori, tra i quali gli avvocati Flaviano Boccassini e Lello Lisco, ha chiarito che non è possibile ritenere che all’epoca dei fatti per i coniugi «sussistesse uno stato di deficienza psichica tale da precludere ai predetti di autodeterminarsi adeguatamente tanto in relazione alla stipulazione dei fidi evocati in denuncia tanto in relazione all'investimento da loro effettuato nella gestione patrimoniale». Insomma la banca, ha aggiunto il magistrato, ha suggerito «una diversificazione del proprio portafoglio assolutamente ragionevole, tutt'altro che spregiudicatamente speculativa e, pertanto, inidonea a comportare l'esposizione a perdite gravi o comunque sproporzionate rispetto alla specifica (bassa) propensione al rischio».
Marito e moglie, insomma, non erano «incapaci» nonostante il basso livello culturale: «se così fosse – ha concluso il gip Maccagnano - come acutamente osservato dalla difesa, qualsivoglia cittadino, all'atto di interagire con un soggetto qualificato come un istituto di credito, una società di gestione del risparmio o una società di investimento immobiliare, dovrebbe essere trattato come "un incapace"».