La storia
Dall’Ue 1,5 milioni di euro a uno scienziato tarantino
Il dott. De Giovanni svilupperà nuove cure per intestino e apparato respiratorio
Un nuovo laboratorio di ricerca in Italia, all’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano; un nuovo sistema di diagnosi e nuove cure anche per malattie “orfane”, sono questi alcuni degli effetti positivi per il Paese e, potenzialmente, per l’umanità del lavoro del tarantino Marco De Giovanni. Il suo progetto di studio ha appena vinto il prestigioso “Starting Grant” del Consiglio europeo per la ricerca (Erc). Un risultato formidabile a valle d’un percorso che – spiega alla Gazzetta – ha un suo inizio: «Le lezioni della professoressa di Biologia e Chimica, Rosanna Cetera, al liceo scientifico “G. Battaglini” di Taranto».
Dott. De Giovanni qual è stato il suo percorso formativo?
«Mi sono diplomato al Battaglini e dopo mi sono spostato a Milano per laurea triennale e specialistica al San Raffaele. Mi sono laureato in Biotecnologie mediche e farmaceutiche. Poi ho avuto la fortuna di entrare nel programma di dottorato qui al San Raffaele, sotto la supervisione del prof. Matteo Iannacone, e ho studiato come le cellule immunitarie si muovono all’interno del nostro organismo per combattere i virus. Dopo il dottorato mi sono trasferito in America per conseguire un training post-dottorato e mi sono unito al laboratorio del prof. Jason Cyste all’Università della California a San Francisco. Qui ho studiato come alcuni recettori che queste cellule esprimono sono importanti per i loro movimenti ovvero i meccanismi che governano come le cellule si muovono. Sono tornato in Italia a settembre e ho iniziato la mia avventura al San Raffaele, vincendo questo Erc e altri “grant”, con lo scopo di studiare i modi in cui diverse parti dell’organismo rispondono durante un’infezione».
Può fare un esempio?
«L’intestino spesso viene considerato come un unico organo ma, in realtà, è diviso in diverse sezioni e sub-sezioni ed è molto poco chiaro come esse si comportino in presenza di patologia. Scoprirlo potrebbe aiutarci a generare nuovi farmaci capaci di bersagliare in modo specifico la parte di intestino colpito dalla patologia, senza colpire le altre, si amplificherebbe l’efficacia del farmaco, riducendo gli effetti collaterali».
E questo vale solo per l’intestino?
«Anche per le vie aeree. Questo discorso si applica ai cosiddetti tessuti mucosali. Tutto ciò, come concetto, si può racchiudere nella parola “regionalizzazione” del sistema immune, ossia come il sistema immune si adatta a una specifica regione del nostro organismo per effettuare le sue funzioni e come noi possiamo intervenire in modo più specifico di quello che facciamo ora».
Sta forse aprendo la via a un nuovo sistema diagnostico e di cura?
«Esatto. A me piace definirla medicina regionalizzata».
A quanto ammonta la borsa?
«Un milione e mezzo in 5 anni».
E cosa ne farà?
«Quando si inoltra la domanda si invia un piano dettagliato sugli esperimenti che si vogliono portare a termine ed è tutto stabilito. Ora il problema sarà trovare le persone giuste, reclutare gli studenti e persone qualificate abbastanza per portare a termine gli studi».
Quindi fonderà un laboratorio?
«Sì un mio laboratorio di ricerca indipendente al San Raffaele».
È difficile fare ricerca in Italia?
«Sì perché purtroppo non ci sono tante occasioni, come questo Erc, che permettono un accesso a un tale ammontare di soldi. Qui, di solito, ce ne sono con finanziamenti da 100-200mila euro, insufficienti per far nascere un nuovo gruppo. Il nostro governo non investe abbastanza in ricerca e anche con questo Pnrr son stati fatti finanziamenti molto piccoli e che aiutano gruppi che sono già in vita. Io – afferma il pugliese, 34 anni il prossimo 28 novembre - sono tornato in Italia perché il San Raffaele per me, e per tanti altri che lavorano qui, rappresenta una piccola isola felice, dove questa problematica è bilanciata dal fatto di essere al fianco di gruppi di ricerca straordinari. Altra forza del San Raffaele è la stretta vicinanza tra ricerca di base e ospedale e, quindi, la possibilità di fare ricerca di base e, in parallelo, pensare a come queste conoscenze possono poi impattare davvero sul paziente».
Non essendo figlio d’arte, papà Maurizio ammiraglio della Marina, dove è nata la sua ispirazione?
«Al liceo e sono grato alla professoressa Rosanna Cetera di Chimica e Biologia. Ora sarà in pensione. Lei mi ha messo in testa la passione per un solo concetto che definisco in latino “cur”, che vuol dire “perché” ed è la radice di curiosità. È il voler sapere il perché delle cose. È nato tutto da un interesse estremo nel voler capire cos’è che regola la natura intorno a noi. Poi la mia passione per aiutare gli altri esseri umani mi ha portato verso la Biologia. Quindi voler sapere, capire, ma anche aiutare gli esseri umani, soprattutto per quelle patologie per cui non abbiamo ancora trattamenti. È grazie all’istruzione ottenuta al Battaglini che sono riuscito ad arrivare qui. Il nostro sistema tiene ancora, ma poi dobbiamo investire sui nostri talenti per non farli scappare via».