il caso
Taranto, contratti «fantasma» per i medici del carcere
Dal primo di luglio, tre professionisti su sei hanno deciso di fermarsi
TARANTO - Devono marcare l’entrata e l’uscita con il badge, ma non hanno un contratto di lavoro dal 2009. È lo strano caso denunciato alla «Gazzetta» dai medici dell’istituto penitenziario “Carmelo Magli” di Taranto che, a quanto raccontano, dal maggio del 2008, quando il loro contratto è passato dal Ministero di Grazia e Giustizia al Ministero della Salute, e dunque alle Asl territoriali, dopo una proroga di un anno, lavorano con una presunta proroga tacita e senza assicurazione.
«Abbiamo un badge dell’Asl con cui noi marchiamo l’entrata e l’uscita, ma il perché non si sa». A dirlo è il dottor Pasquale Mazza, medico di medicina generale e medico di famiglia, che ha lavorato nella Casa Circondariale di Taranto per 24 anni, di cui 15 senza tutele assicurative e previdenziali, anche nel periodo di emergenza Covid.
Dal primo di luglio, dopo aver dato alla direzione un mese di avviso, tre dei sei medici che si occupavano di curare gli 801 detenuti del carcere, hanno deciso di fermarsi, fino a quando la direzione sanitaria dell’Asl di Taranto, non avesse fatto sottoscrivere loro un contratto e regolato la posizione Inail. «In questi anni - sottolinea il dottor Mazza - abbiamo più volte contattato i vertici delle Asl, per cercare di risolvere il problema e cercare di tutelarci, con un contratto, una convenzione o qualcosa che giustificasse la nostra presenza in istituto. Il lavoro in un istituto di pena ha una complessità notevole, perché hai a che fare con persone che non sono libere, che sono ristrette e quindi alle varie problematiche reali di salute se ne aggiungono altre di natura psicologica. Non bisogna mai abbassare la guardia ed essere quanto più disponibili possibile. Solo ascoltare un detenuto alle volte è sufficiente per a risolvere il 50 per cento delle problematiche. Il malcontento di uno spesso si ripercuote sulla comunità penitenziaria».
Un gioco di equilibri che sono rimasti in pochi a gestire. Della comunità penitenziaria non fanno parte solo i detenuti, ma anche i dipendenti: polizia penitenziaria, educatori, dipendenti civili, dirigenza e medici. Oggi sono in due i medici rimasti in servizio al Carmelo Magli, uno di loro è in ferie. Sono costretti a dover coprire turni di 24 ore, senza riposo e senza la possibilità di poter far fronte all’enorme massa di richieste proveniente dai detenuti. Peraltro, come si legge da una nota inviata dal Sappe, sindacato della Polizia Penitenziario a Gregorio Colacicco, Direttore Generale Asl di Taranto, uno dei due medici in servizio dovrebbe occuparsi anche del Sert, ossia della gestione dei tossicodipendenti. «Il penitenziario di Taranto -si legge nella nota del Sappe- ospita circa 800 detenuti, di cui alcune centinaia con varie patologie, anche serie, a cui si aggiungono quelli con gravi problemi psichiatrici».
La vera delusione è arrivata quando i tre medici hanno scoperto di non avere alcuna posizione Inail e di non averla avuta neanche in pandemia, nonostante le rassicurazioni della dirigenza sanitaria. «Ci pagano -sottolinea Mazza- come facciano a pagarci non lo so perché la pubblica amministrazione deve motivare qualsiasi spesa e noi non esistiamo». I compensi sono un altro punto dolente: 23 euro lorde all’ora, senza la possibilità di adeguamento. «Gli infermieri arrivati dall’Ospedale in straordinario, per colmare le carenze di organico hanno un compenso maggiore del nostro», sottolinea il dottor Angelo D’Andria, uno dei tre medici che hanno puntato i piedi per chiedere un contratto all’Asl, che spiega: «i colleghi convenzionati con l’Asl, arrivati da poco, hanno una tariffa oraria maggiore della nostra. Se non siamo più graditi, allora ce lo dicano chiaramente. Ma non si lascino dei professionisti esperti e competenti a lavorare senza nessuna tutela, nessun contratto o convenzioni e con compensi irriguardosi». Al momento ci sono delle procedure legali in itinere, che si discuteranno nel febbraio del 2024, una settimana fa invece l’ultimo incontro con la dirigenza dell’Asl, con cui hanno colloqui per cercare di risolvere il problema dal 2010. «Veniva chiamato pianeta carcere -dice D’Andria- perché è un altro pianeta».
Loro in questo pianeta ci vivevano bene. D’Andria ha svolto 37 anni di servizio nel carcere di Taranto: «sono entrato con tutti i capelli neri e ora non ne ho più -dice ridendo. Dovevo rimanere qualche mese e sono rimasto 37 anni per un senso del dovere, perché non ci si arricchisce». I due medici raccontano quanto il penitenziario sia un ambiente particolare e per chi ci lavora diventa familiare. «C’è molta collaborazione -dice D’Andria- si lavorava in armonia. Ecco perché ci abbiamo lavorato tanti anni».