Il caso

Ex Ilva, cede parte del piano calpestio su nastri in marcia. Usb: «Esposto in Procura»

Buche e fessure nel paiolato

TARANTO - L’Usb denuncia il cedimento di una parte di paiolato, cioè del piano di calpestio al di sopra nei nastri in marcia, del reparto Omo 2 dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal di Taranto, in zona Agglomerato 2. Si sono create buche e fessure che, osserva il sindacato, mettono a rischio l’incolumità dei lavoratori. Chiunque dovesse «trovarsi ad operare in quel punto - spiega l’Usb - in caso di ulteriore cedimento potrebbe precipitare su impianti in marcia con ovvie, tragiche conseguenze. Quella interessata dall’episodio è una delle aree che presentano maggiori criticità, più volte evidenziate dall’Unione sindacale di base, che torna a denunciare lo stato degli impianti all’interno della fabbrica e i relativi rischi».

Il sindacato ricorda che «già lo scorso anno un fatto simile è avvenuto nello stesso reparto, ma da allora nulla è cambiato, anzi la situazione è nettamente peggiorata. La questione è stata più volte portata dalla nostra organizzazione sindacale all’attenzione dell’azienda affinché mettesse in piedi interventi di manutenzione efficaci e tempestivi. L’ultima segnalazione risale al 25 gennaio scorso».

L’azienda, conclude l’Usb, «ha risposto promettendo interventi che però non sono mai stati realizzati. A dimostrazione di ciò il verificarsi di ulteriori incidenti che solo grazie alla buona sorte non fanno registrare feriti. Da qui l'esigenza di denunciare in Procura quanto sta accadendo: a questo l’Usb provvederà già nella giornata di domani depositando il documento del 25 gennaio» con cui segnalava i pericoli. 

«Tale situazione di impasse mortifica la speranza che con l’ingresso dello Stato si potesse realizzare finalmente la svolta tanto attesa dai lavoratori e dalla città, svolta di natura ambientale, sociale, occupazionale, ovvero industriale». Lo afferma il segretario generale della Cisl di Taranto, Gianfranco Solazzo, intervenendo sulla vicenda ex Ilva dopo la comunicazione dell’azienda che ieri ha annunciato una «riduzione dei livelli di produzione" (salvo tornare indietro sui suoi passi procedendo alla ripartenza di alcuni impianti), e «un rallentamento temporaneo dei piani di investimento», fino a quando Invitalia «non adempierà agli impegni presi» versando i 400 milioni di euro pattuiti per l’aumento di capitale.
«Ad oggi - aggiunge Solazzo - dell’accordo del 10 dicembre stipulato tra Invitalia e ArcelorMittal non vi è alcun seguito, se non l’attesa, ancora una volta, degli atti della magistratura, inerenti al giudizio di merito dinanzi al Consiglio di Stato previsto per il 13 maggio e relativo alla impugnazione dell’ordinanza del sindaco di Taranto del mese di febbraio 2020, con cui si intimava alle due società, AM e Ilva in As, di individuare le cause delle emissioni ed intervenire entro 30 giorni o spegnere gli impianti nei 30 giorni successivi».
In ballo, osserva il segretario Cisl, ci sono «20mila lavoratori, tra diretti e indiretti; il che rende sempre più quella fabbrica nemica di questa Taranto. Se qualcuno è in attesa di quelle risorse europee che tutti rivendicano ma per le quali, ad oggi, non esiste alcun progetto, noi consigliamo di svegliarsi da un torpore che rischia di provocare una ecatombe produttiva ed occupazionale». 

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