Il convegno
Malattie professionali, il triste primato di Taranto
Gli organizzatori: «I lavoratori tarantini attivino uno Sportello Salute, magari col supporto di medici legali e clinici»
Ancora una conta dei morti, ancora un primato negativo. Con 548 decessi dovuti a malattie professionali tra il 2013 e il 2017, secondo gli Open Data dell’Inail, Taranto è al primo posto fra le 107 province italiane, seguita da Torino, Napoli, Genova e Milano. In Puglia, Bari è al 41° posto, Lecce al 64°. Ed ancora – sulla base dei dati dell’anagrafe negli anni 2010-2018 -, elaborata una mappa della città spaccata in due: una zona rossa a nord, coincidente con l’area industriale, caratterizzata da una più alta incidenza della mortalità della popolazione, e l’altra a sud in verde, dal Borgo sino a Lama Talsano San Vito, caratterizzata da minore incidenza.
Sono alcuni degli elementi (i dati Inail elaborati da Stefano Cervellera, Dipartimento Jonico Uniba; i dati dell’anagrafe elaborati invece da Valerio Gennaro, Stefano Cervellera, Antonello Russo e Emilio Gianicolo) emersi ieri nel corso del convegno nazionale organizzato da Medicina Democratica ed altre 15 associazioni sul tema «Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita», a Taranto (presso il Centro Polivalente «Giovanni Paolo II» al quartiere Tamburi), nella città emblema delle emissioni di diossina e della mortalità per tumori al polmone.
Il convegno apre al confronto con altre realtà nazionali, ma soprattutto mira a fare emergere proposte a favore dei lavoratori e della popolazione.
Non manca il racconto della quotidianità nel quartiere più difficile, i Tamburi. E, soprattutto, non manca la voce delle mamme che raccontano non solo di come e quanto siano compromessi i diritti al gioco ed all’istruzione per i propri bambini. Ma anche di quella convivenza quotidiana con la paura di ammalarsi e di quanto sia un incubo un colpo di tosse o anche una semplice febbre. E poi c’è quella pietosa bugia. Man mano che la copertura dei parchi minerali prende forma, soprattutto ora che è diventata bianca, ai bambini che vogliono sapere cos’è, le mamme hanno una risposta sola: «Stanno costruendo una pista da sci».
Il dibattito dell’intera giornata è serrato. Traendo le conclusioni e confermando l’impegno di Medicina Democratica come parte civile in tutti i gradi di giudizio nei procedimenti giudiziari in corso, il presidente nazionale Marco Caldiroli, afferma: «È emersa oggi una condivisione di temi e iniziative su cui fare convergere, ognuno in autonomia, le iniziative dei comitati e delle associazioni, a partire dal riconoscimento del legame tra tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e la promozione della salute nei luoghi di vita. Occorre partire dalla critica dei processi produttivi insopportabilmente impattanti – precisa -. La strada è quella di una modifica radicale e tempestiva dei processi produttivi e la chiusura di quelli che non si intende attuare a ciclo chiuso o modificare all'origine».
Ancora dati. Uno studio – ne parla Lucia Bisceglia (Agenzia regionale Strategica per la Salute e il Sociale) - ha dimostrato come, dopo la prima fermata degli impianti, sia stata rilevata una caduta dell’inquinamento e dei tassi di morbilità e mortalità a dimostrazione del rapporto diretto con l’esposizione agli inquinanti. Ed una proposta: i lavoratori tarantini attivino, magari col supporto di medici legali e clinici, uno Sportello Salute. Distinguendosi da un patronato e replicando altre esperienze già attivate in Italia – spiega Maurizio Loschi (Medicina Democratica, Savona) -, lo Sportello Salute è una modalità per partire anche da singoli casi per risalire all’origine dell’inquinamento e fare delle proposte. Non si tratta solo di risarcire i lavoratori colpiti, ma di fare esperienza perché non si debba sempre passare attraverso la conta dei morti.