Cinema

«Io capitano parla al cuore di tutti», il barese Lonigro, produttore del film, racconta il feeling con Garrone

Livio Costarella

«Gli spettatori possono immedesimarsi nei migranti in fuga»: il lungometraggio è stato premiato a Venezia

«Quando ho visto questo film, prima delle Giornate Professionali del Cinema a Riccione, insieme all’Amministratore Delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco, abbiamo subito intuito la sua meraviglia e unicità, nel raccontare una storia che tocca chiunque nel profondo». È raggiante Luigi Lonigro, quando parla di Io capitano, il film di Matteo Garrone giunto alle soglie della terza settimana di programmazione, con oltre un milione di euro incassato al box office. Il professionista barese ai vertici dell’industria distributiva - presidente nazionale Unione Editori e Distributori Cinematografici Anica, nonché direttore di 01 Distribution - lavora al fianco del regista romano da diversi anni, soprattutto dall’esplosione definitiva del suo cinema con Gomorra, nel 2008.

«Con Matteo - spiega Lonigro - si è ormai creato un rapporto di grande stima e complicità: d’altra parte, quando si lavora insieme, tra distributore, produttore e autore ci devono essere feeling e fiducia assoluta. Gomorra, in tal senso, è stato un bel viatico: uscimmo nel 2008 in estate, e a quei tempi sembrava una follia. Incassò 12 milioni di euro».

Poi i film di Garrone sono sempre stati molto diversi tra loro.

«Il suo è un percorso fatto di campioni del box office (come Gomorra e Pinocchio), ma anche di film sempre differenti tra loro, come Dogman, Reality o Il racconto dei racconti. Adesso, con Io capitano siamo all’ennesimo nuovo capitolo: il viaggio di due ragazzi adolescenti verso la libertà».

Qual è la carta vincente di questo lungometraggio?

«Il fatto che lo spettatore sia portato a immedesimarsi negli occhi dei due ragazzi protagonisti. Sono loro a raccontarci tramite il proprio sguardo cosa sia un viaggio della speranza. E tutto ciò permette a chi guarda di sviluppare un’assoluta empatia: si viaggia e si soffre con loro, essendone al fianco per tutto il film. Ho sempre pensato che un lungometraggio raggiunga davvero il successo quando lo spettatore riesce a tifare o parteggiare per uno dei protagonisti. È impossibile guardare quest’opera in maniera distaccata, e questo lo dobbiamo all’umanità e alla naturalezza che trasmettono i due ragazzi protagonisti, Seydou e Moussa».

Com’è nata la scelta di uscire in sala in lingua originale senegalese, con i sottotitoli in italiano?

«È stata una mia proposta. Proprio grazie alla spontaneità che scaturiva dai protagonisti, con Del Brocco abbiamo valutato e proposto a Garrone, per la prima volta nella storia del cinema italiano, di uscire in tutte le sale in lingua originale. Era molto rischioso: non era assolutamente scontato che il pubblico italiano accettasse di andare a vedere ovunque un film come questo, in lingua originale. Ma con il doppiaggio avremmo perso l’unicità dei due ragazzi. Prendiamo Seydou: ha una potenza unica nelle pause, nel parlato e nei toni, e questo talento poteva venir fuori solo con questo tipo di visione».

E il botteghino sta continuando a darvi ragione.

«Il film è in crescita continua: siamo usciti in 200 schermi, e da domani diventeranno 333. Abbiamo chiesto agli esercenti di essere al nostro fianco, proteggendo e difendendo l’opera di Garrone. Eravamo certi che il passaparola avrebbe giovato moltissimo. Poi il Leone d’Argento a Venezia è stata una ciliegina importante. Non dimenticherei il Leoncino d’Oro vinto: questo è un film che ha commosso anche un pubblico di giovanissimi, per non parlare degli altri 20 premi che ha già ottenuto. Ha conquistato non solo i diciottenni, ma continua ad essere un film che sta commuovendo chiunque. E questo è un risultato che ci inorgoglisce».

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