La trama internazionale
Ucraina, il politologo Vacca: «Il braccio di ferro tra Nato e Asia»
«Il vero scopo è aver riallineato l'Europa, finora mal tollerata nel suo ruolo di "potenza civile", legata appunto alla visione multipolare. Il conflitto ucraino è servito a questo»
L’invasione dell’Ucraina costituisce un salto di qualità nella terza guerra mondiale evocata da Papa Francesco». È uno sguardo che si alza oltre le cronache quello che Beppe Vacca - politologo e già presidente, fino al 2016, della Fondazione Istituto Gramsci - offre a un anno esatto dall'inizio dell'«operazione speciale» varata da Vladimir Putin. Un anno dopo il quale il conflitto non accenna a finire e, anzi, prosegue «senza che si veda ancora quale possa essere la conclusione». Nonostante questo, però, le coordinate del «grande gioco» iniziano a farsi più nitide.
Professor Vacca, chi sta combattendo, in realtà, questa guerra?
«Nell’immediato e dal punto di vista militare si è configurata subito come una guerra tra la Nato e la Russia. Ma per come è stata tematizzata, da parte occidentale, si tratta di una contrapposizione fra la Nato e l’Asia o meglio il blocco dei Brics (cioè il blocco “non allineato” costituito da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ndr). Ancora più semplicemente: una guerra di difesa della democrazia occidentale dall’emersione dell’Asia».
E la narrazione occidentale si apparenta alla verità o no?
«Guardi, io rifiuto decisamente questa definizione univoca che l’Occidente dà di se stesso. È pura autoreferenzialità, propaganda astorica cucita sull'obiettivo di costruire un nuovo ordine mondiale a propria immagine e somiglianza».
Il problema è questo?
«Il problema è che gli attori in campo, dopo la caduta del Muro di Berlino, hanno dimostrato di voler abbracciare il paradigma multipolare. Cioè un mondo senza una contrapposizione frontale ma basato sull’interdipendenza, soprattutto alla luce del problema della guerra nell’era atomica. È questa la prospettiva cinese, russa, indiana, europea. Ma gli Stati Uniti puntano ancora sull'unilateralismo. Il loro, ovviamente. Sono il Paese sovranista e nazionalista per eccellenza».
Fra i tanti, possiamo individuare un momento di snodo?
«Le due crisi finanziarie di inizio Millennio: quella del 2000 e quella del 2008 dopo la quale sarebbe stato necessario un cambiamento del modello economico globale. Ma gli americani tirano dritto, respingono la richiesta di riforma del sistema monetario, e così la crisi si scarica su molte realtà. A cominciare dalla Russia che rischia il fallimento. A quel punto interviene la Cina che la salva. Da lì in poi inizia quel percorso che porterà Mosca e Pechino a definire gli obiettivi strategici della “collaborazione senza limiti” come da documento reso noto, significativamente, proprio il giorno dell’invasione dell’Ucraina».
Ecco, torniamo alla guerra. Si può sintetizzare il «meccanismo» innescato dal conflitto?
«L’invasione è la risposta che Putin dà agli otto anni di guerra nel Donbass. Di questo si tratta. Ma, a sua volta, la Nato dà una risposta ulteriore, proprio nella chiave che abbiamo evidenziato».
Alla fine qual è l’obiettivo della Nato? Un regime change in Russia?
«Non è solo quello. Anzi è un obiettivo secondario. Il vero scopo è aver riallineato l’Europa, finora mal tollerata nel suo ruolo di emergente “potenza civile”, legata appunto alla visione multipolare. Il conflitto ucraino è servito a questo. Il Vecchio continente, ora, non può avere alcun protagonismo autonomo, ma torna a esser parte di un Occidente modellato, come agli inizi della Guerra Fredda, dalla preponderanza militare degli Stati Uniti. I quali, però, sono costretti a ridimensionare il loro impegno che non può essere più globale, a tutto campo, come accadeva prima del 1989».
E quindi? All’Europa la grana dell’Ucraina mentre Washington si occupa di Pechino?
«L’idea è quella: scaricare sull’Europa i rischi e i costi del contenimento della Russia per potersi dedicare al disegno del nuovo bipolarismo Usa-Cina che, a sua volta, dovrebbe costituire il vertice condiviso di un nuovo assetto del mondo. Un disegno di corto respiro e forse provvisorio».