Sky e Now
«Succession», la famiglia Roy torna per la terza stagione e ricomincia la lotta per il potere
Il debutto della terza stagione di Succession ritrova la famiglia Roy dove l’aveva lasciata due anni prima: sul bordo di un precipizio giudiziario e di fronte al ‘parricidio’ del suo patriarca. Ma Logan Roy (Brian Cox) è duro a morire. Nato in Scozia e diventato ricchissimo in America, il dramma funziona per lui come una sitcom, niente può toccarlo, nemmeno la pandemia, esclusa dall’intrigo per conservare quell’idea che i Roy vivano al di fuori della realtà che vorrebbero controllare. I pezzi della scacchiera si muovono ma senza conseguenze reali per loro e tutto ricomincia da capo. La terza stagione ribadisce lo status quo di Succession, la lotta intrafamiliare per il controllo della Waystar Royco, impero mediatico e finanziario. Perché Logan, vecchio leone in declino, è ferocemente aggrappato al trono a cui bramano i suoi quattro figli, indecisi tra uccidere il padre o impressionarlo. Se i metodi educativi di Logan sono un’impresa di demolizione perpetua, la sua prole ha un talento naturale per l’autodistruzione, mentre cerca la sua ragione d’essere e la grazia paterna per esistere. È il principale piacere di questo racconto (a)morale insieme ai suoi personaggi impossibili da amare. Serve tempo per ‘adottare’ questi bambini viziati in un finale di stagione prodigioso. Un’esplosione di fratellanza ‘interessata’ tra tocchi esitanti e gesti di consolazione. Made in HBO e diffusa su SKY e NOW, Succession riposa sulle performance solide dei suoi attori, un flusso ininterrotto di parole e di zoom intempestivi che mettono in rilievo il malessere degli eredi. Jesse Armstrong firma una satira implacabile del capitalismo, incarnato da un magnate irascibile che non ha altro da trasmettere che la sua rabbia e il suo istinto di sopravvivenza.